Migranti, si naviga a vista?
La recente direttiva emanata dal Ministro dell’Interno sul “coordinamento unificato dell’attività di sorveglianza delle frontiere marittime e per il contrasto all’immigrazione illegale ex art.11 del d.lgs 286/1998 recante il Testo Unico in materia di Immigrazione” (TUI), sottolinea subito, nelle prime quattro righe, come “i diversi profili della politica migratoria del Paese (…) sono stati affrontati negli ultimi anni sotto il poliedrico approccio della dimensione interna della politica di migrazione, della tutela delle frontiere esterne dell’UE e del rafforzamento dell’azione di contrasto al traffico di migranti”.
Vorrei ricordare come sulla “politica dell’immigrazione e degli stranieri sul territorio dello Stato” il documento programmatico, triennale, che il Presidente del Consiglio avrebbe dovuto predisporre, far approvare dal Governo e trasmettere al Parlamento (art.3 del TUI), non viene redatto da oltre dieci anni.
Insomma, da molto tempo e con Governi diversi, si naviga a vista in tema di politiche migratorie, sulla scorta di informazioni ed emergenze (talvolta presunte), di intollerabili pluriennali inerzie a livello di istituzioni europee, di emotività popolari stimolate e strumentalizzate. Il risultato è che sono sicuramente scoordinate e contraddittorie quelle “azioni e interventi che lo Stato italiano, anche in cooperazione con gli Stati membri dell’UE, con le organizzazioni internazionali, con le istituzioni comunitarie e con le organizzazioni non governative” (art.3 comma 2 TUI) che in tema di immigrazione dovevano essere indicate nel citato documento programmatico.
La mancanza di tale importante documento ha comportato, tra le altre conseguenze, anche la carenza negli “interventi pubblici volti a favorire le relazioni familiari, l’inserimento sociale e l’integrazione culturale degli stranieri residenti in Italia” (art.3 comma 3), a cui si aggiungono le sostanziali inattività dei Consigli territoriali per l’immigrazione istituiti con il suddetto TUI presso le Prefetture, in ogni provincia, per “compiti di analisi delle esigenze e di promozione degli interventi da attuare a livello locale”.
Di fatto, oggi, tali organismi sono “Consigli fantasma” in gran parte delle province italiane.
Tornando alla direttiva suindicata, sottolineata “la priorità di assicurare assistenza e aiuto immediato alle persone in pericolo di vita in mare”, il Ministro dell’Interno che, lo ricordiamo, è Autorità Nazionale di Pubblica Sicurezza, rammenta “i rischi concreti che nel gruppo di migranti possano celarsi soggetti coinvolti in attività terroristiche o comunque pericolosi per la sicurezza e l’ordine pubblico”.
Da quel che è dato sapere, però, sino ad oggi non mi pare che siano stati individuati stranieri sospettati di terrorismo che, se vogliono entrare in Italia (e in UE), non affrontano i rischiosi viaggi in mare ma quelli, più sicuri, via terra.
Discorso diverso per quelli problematici per la sicurezza come emerge dai dati degli stranieri che accolti, assistiti e ai quali è stato riconosciuta anche una forma di protezione internazionale diventano spacciatori (mediamente il 40% circa sul totale nazionale delle persone denunciate dalle forze di polizia all’a.g. secondo dati della DCSA), a volte autonomi, più spesso manovalanza della criminalità.
Bene, comunque, la direttiva che ricorda norme e convenzioni internazionali che disciplinano l’attività di soccorso in mare in relazione ad aree ben individuate di responsabilità (SRR, Search and Rescue Region) affidate ad autorità riconosciute internazionalmente come Rescue Coordination Center e l’attribuzione di un place of safety per la nave soccorritrice.
Fare soccorso in mare cioè, tenendo sempre presente il dovere che ha l’autorità nazionale di pubblica sicurezza (e le autorità provinciali e locali di ps, gli ufficiali e agenti di ps) di garantire il buon ordine e la sicurezza dello Stato italiano.
Immigrazione: il punto sul “trattenimento” e il reato di clandestinità
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