Criminalità organizzata in Italia: il pericolo viene dall’Albania
Venti anni fa, nel 1999, la Direzione Investigativa Antimafia (DIA) avviò il progetto Shqiperia (dal nome originario dell’ Albania) con l’obiettivo di “analizzare, più nel dettaglio, l’espansione della c.o. albanese e approfondire le caratteristiche peculiari di questa nuova mafia, la cui aggressività suscita un sempre maggiore allarme sociale”.
Il quadro analitico che era emerso dal suddetto studio doveva servire “non solo ai fini conoscitivi” (fondamentale per chi voglia davvero combattere il “male”), ma, soprattutto “per fornire costante supporto informativo alle indagini”. Già allora la DIA, nella relazione presentata al Parlamento, evidenziava il “pericoloso fenomeno criminale” costituito dai sodalizi criminali albanesi a base familiare, la loro comunanza di affari nel traffico di stupefacenti con la criminalità mafiosa italiana, con il rischio di raggiungere nelle regioni del centro-nord Italia “un livello stabile di integrazione basato sulla fisiologica assunzione di modelli organizzativi mafiosi”.
E’ quello che, con il trascorrere degli anni, si è realizzato fino a diventare un serio problema non soltanto per il nostro Paese ma per tutta l’Europa (in questo senso le dichiarazioni del procuratore della Repubblica di Catanzaro, Gratteri, dicembre 2018). E tutto questo nonostante la cooperazione avviata da molti anni tra le autorità di polizia italiana e albanese con la presenza in quel Paese di un gruppo interforze anche di un magistrato italiano con funzioni di collegamento) e con un servizio di pattugliamento aeronavale svolto con mezzi della nostra Guardia di Finanza.
Insufficienza di forze messe in campo? Sottovalutazioni investigative? Il narcotraffico non interesse più come un tempo? Disattenzioni e ambiguità politiche? Complicità e corruzione diffuse in Albania?
Domande che si debbono necessariamente porre proprio mentre in Albania si richiedono nuove elezioni perché il Parlamento sarebbe inquinato dal crimine e dalle mafie e Transparency International lo colloca come il Paese più corrotto di tutta l’area balcanica.
Il narcotraffico, inutile dirlo, continua ad essere l’attività criminale privilegiata tanto che l’Albania è stata ribattezzata “Kanabistan” per la grande produzione di marijuana che viene esportata in Italia e in UE ma anche per lo smistamento della cocaina proveniente dal Sud America e per l’eroina che arriva dal Medio Oriente.
Insomma, “la criminalità albanese resta l’organizzazione straniera tra le più attive e ramificate in ambito nazionale” (relazione DIA, 2018) al di là di diverse e importanti operazioni di polizia (molte quelle antidroga) concluse nel corso del 2018 con arresti e sequestri (per esempio l’op. Vampiri, Orange, Shefi, Bogotà, Stammer-2, Affari di famiglia, Mercante in Fier).
Va anche ricordato come oltre l’80% delle oltre 32 tonnellate di marijuana -trasportate da albanesi su gommoni e sequestrate nel corso del 2018 dalle forze di polizia – sia avvenuto lungo le coste pugliesi e nei porti di Lecce, Brindisi, Foggia, Bari e in quelle di Palermo, Catania, Ragusa e Trapani.
In questo scorcio di anno, poi, al 20 febbraio, i dati, provvisori, della DCSA, indicano in 198 gli albanesi arrestati per traffico di stupefacenti su tutto il territorio nazionale, al secondo posto dopo i marocchini.
Una criminalità albanese caratterizzata, spesso, da condotte violente non solo nella commissione di fatti criminali (in particolare nello sfruttamento della prostituzione e nei reati contro il patrimonio) ma “anche per risolvere dissidi e controversie tra gruppi rivali” (rel. DIA citata).
Ai criminali albanesi più “evoluti” (quelli che trafficano in stupefacenti e gestiscono l’ immigrazione clandestina) originari delle città di Tirana, Durazzo e Valona, si aggiungono quelli provenienti da Fier, Puske e Kavaje che sono i meno “evoluti” ma i più violenti e quelli che sono dediti allo sfruttamento della prostituzione come è emerso nelle varie indagini in Italia.
La lotta alle mafie, anche a quella albanese, diventi una priorità
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