Tra vendetta e perdono
Il perdono è sempre un fatto personale, intimo, attiene alla coscienza di ciascuno. È frutto di un cammino, a volte di un travaglio. Spesso è vissuto come liberazione dalla prigione in cui la vendetta tiene in ostaggio la sofferenza. Il perdono non si deve e non si può pretendere. I familiari delle vittime del terrorista Cesare Battisti, vittime a loro volta della sua violenza e della violenza eletta a ideologia da alcune menti impazzite in quegli anni, non riescono ad avere parole di perdono e si può comprendere. Sono vite ferite che da 37 anni urlano giustizia. “Non trasformiamolo in un orco. Ho sentito che qualcuno si è lamentato che non scendesse dall’aereo in manette”, ha detto Alberto Torregiani che da 37 anni ha perso l’uso delle gambe a causa dei proiettili che Battisti gli ha esploso contro. “Mi aspetto che venga trattato con tutti i diritti e il rispetto che deve avere un detenuto. Niente benefici – conclude – ma nessuna ulteriore restrizione rispetto a quelle che la legge prevede”. Non c’è stata nessuna parola in più, nessun desiderio di vendetta, nessuna sbavatura che invece ci è toccato sentire da chi la Costituzione deve rappresentarla e dovrebbe bandire parole ed espressioni tipiche dei peggiori bar di Caracas.
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