La lotta alle mafie, anche quella albanese, diventi una priorità
Nella interessante intervista televisiva dello scorso mese di dicembre durante la trasmissione di “Piazza Pulita”, Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica di Catanzaro, è tornato a parlare della lotta alle mafie come priorità nazionale, della esigenza di avere un “sistema” (penale, processuale, penitenziario) proporzionato a questa criminalità, sottolineando, tra l’altro, la “mafia emergente, quella albanese (…) che sarà, di qui a poco, il massimo problema per l’Europa (..) una mafia che non è conosciuta, non viene contrastata..” aggiungendo, infine, che per le mafie “..l’Europa è una grande prateria”.
Affermazioni che dovrebbero indurre a serie riflessioni i vertici nazionali della sicurezza pubblica stimolando, anche in questo ambito vitale per il Paese, quel dinamismo, apprezzabile, manifestato di recente nella cattura di latitanti all’estero (per ora, Cesare Battisti), ricercati da molti anni.
Gratteri, lo ricordiamo, è uno dei magistrati più esperti nella lotta alla mafia calabrese e la sua conoscenza sulla criminalità organizzata, italiana e straniera, dovrebbe essere meglio utilizzata per un approccio olistico alle varie problematiche, a cominciare dalla esigenza di far comprendere a tutti i Paesi dell’Unione Europea che la minaccia proveniente dalla c.o. è una minaccia ( ormai una realtà) di natura continentale ( direi globale). Va, comunque, precisato che da molti anni si sta parlando del “pericolo albanese” in Italia, a cominciare dalla DIA che già nella sua relazione del 2000 sottolineava la organizzazione ed evoluzione dei sodalizi criminali albanesi verso modelli propriamente mafiosi per concludere con il timore che potevano diventare tra le organizzazioni più pericolose da affrontare.
Situazione peggiorata con il trascorrere degli anni (nonostante alcune operazioni di polizia) come emerge dalla lettura dell’ultima relazione della DIA presentata al Parlamento lo scorso anno (ma, dati e analisi si riferiscono al secondo semestre del 2017) in cui si sottolinea ancora come “..la criminalità albanese resti l’organizzazione straniera sicuramente più presente e ramificata in Italia..” caratterizzata dal frequente “..ricorso a condotte violente, strumento attraverso il quale vengono risolti i dissidi tra gruppi rivali, talvolta secondo le regole ancestrali del Kanun, un codice consuetudinario albanese risalente al XV scolo, alternativo alle regole dello Stato” (codice che, tuttavia, ha avuto un riconoscimento ufficiale dal re Ahmed Zogu con il decreto legge del 30 giugno 1928).
Il narcotraffico resta l’attività principale per la mafia albanese che ha nelle famiglie Kula, Abazi, Borici e Brokai i sodalizi più importanti e alle cui dipendenze operano cellule di kosovari. Difficile pensare di venirne a capo tanto più che le entrate provenienti dal traffico e dalla produzione di marijuana incidono non poco (circa il 3%) sul Pil del Paese. Senza dimenticare che appena una trentina di anni fa le organizzazioni criminali albanesi avrebbero svolto queste attività, oggi considerate illecite, sotto l’egida dello stesso Stato per conseguire benefici per l’economia nazionale.
L’Albania continua ad essere, dunque, il maggior produttore di cannabis in Europa con una produzione annua stimata di marijuana che sfiora le mille tonnellate e per un giro di affari di oltre cinque miliardi di euro. Il villaggio di Lazarat, al confine con la Grecia e la zona circostante, continua ad essere il territorio dove sono concentrate le maggiori estensioni di coltivazioni di cannabis monitorate da sorvoli di aerei della Guardia di Finanza che collabora con quelle autorità di polizia nel contesto di una Missione Italiana Interforze avviata da oltre venti anni.
In Italia la malavita albanese si arricchisce con il traffico di stupefacenti, settore divenuto, nel tempo, sempre di più allettante. Si pensi che nel 1993 erano stati denunciati all’a.g. soltanto 14 albanesi per traffico/spaccio, aumentati a 943 nel 2000 e a 1.954 nel 2017, seconda etnia dopo marocchini (3.011) e prima dei nigeriani (1.689). E nel 2018 da poco concluso, secondo dati in elaborazione della DCSA, il numero è ancora aumentato.
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