Genova e l’Italia pensando a Fabrizio De Andrè
L’11 gennaio del 1999 ci lasciava Fabrizio De André il grande cantautore genovese che tanto aveva narrato nelle sue canzoni la vita della sua città.
Il forte rapporto con Genova già si intuisce nella bellissima “La città vecchia”, canzone scritta nel 1962 e cantata poi nel 1965; un testo che a distanza di oltre 50 anni, ancora oggi dimostra tutta la sua attualità.
Quei quartieri dove il buon Dio non dà i suoi raggi, perchè ha già troppi impegni per scaldar la gente di altri paraggi, ben rappresentano la realtà attuale non solo della città ligure, ma anche della realtà del nostro paese.
Si perché Genova, oggi più di sempre, è la città che meglio descrive e rappresenta la nostra Italia.
Genova è da sempre città di porto e di mare e dunque terra di apertura al mondo, ma al tempo stesso anche spazio incastonato tra le montagne che lo circondano e dunque luogo di chiusura.
Apertura e chiusura, specchio dell’Italia di oggi dove, pensando alla difficile e complicata gestione dei migranti, proprio i porti e il mare sono ciò che più divide noi cittadini, tra chi è per impedire loro l’accesso in modo rigido e chi invece vuole offrire accoglienza e aiuto a chi scappa dalla miseria e dalla repressione.
Genova città dei piccoli corsi d’acqua, a volte chiusi e incastonati nel cemento che troppo spesso hanno causato danni e morti, proprio come avviene in tante zone del nostro paese, devastate dallo scempio compiuto in anni di costruzioni selvagge e dove, come a Genova, spesso la natura si ribella.
Genova città dove pochi mesi fa è crollato il ponte Morandi con il suo carico di morte e dolore, rappresentazione delle tante infrastrutture, strade, viadotti, che attraversano la nostra nazione da nord a sud con il loro carico di degrado e di mancata manutenzione.
Genova dove proprio in questi giorni è in grave difficoltà la sua principale banca, la Carige, così come è avvenuto in giro per l’Italia in altre banche negli ultimi anni, come il Monte dei Paschi di Siena, Banca Etruria e alcuni istituti del Veneto.
Genova dove si sono alternati negli ultimi decenni governi locali di destra e di sinistra, senza che nessuno sia riuscito a far fare un salto di qualità alla città, come d’altronde accade da qualche decennio anche nei governi centrali che si sono alternati alla guida del nostro paese.
Genova città della decadenza e dell’amore, di criminalità e volontariato, come questa nostra penisola dove organizzazioni criminali e mafie convivono con l’attenzione e l’impegno di milioni di persone verso gli ultimi e i poveri.
Quell’attenzione verso gli ultimi e i poveri diavoli che tanto spesso si respira nelle canzone di Fabrizio che sempre ci spingono a non giudicare, ma a cercare di ascoltare e a capire la complessità della società dove viviamo.
Vorrei finire questa riflessioni con alcune parole della lettera che don Andrea Gallo (genovese, partigiano, prete da marciapiede, fondatore di una comunità di recupero), grande amico di Fabrizio, scrisse il 14 gennaio 1999, tre giorni dopo la sua morte:
Caro Faber,
da tanti anni canto con te, per dare voce agli ultimi, ai vinti, ai fragili, ai perdenti. Canto con te e con tanti ragazzi in Comunità.
Quanti «Geordie» o «Michè», «Marinella» o «Bocca di Rosa» vivono accanto a me, nella mia città di mare che è anche la tua. Anch’io ogni giorno, come prete, «verso il vino e spezzo il pane per chi ha sete e fame». Tu, Faber, mi hai insegnato a distribuirlo, non solo tra le mura del Tempio, ma per le strade, nei vicoli più oscuri, nell’esclusione.
E ho scoperto con te, camminando in via del Campo, che “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.
E anche questa è Genova, una città dove nonostante tutto, la speranza non muore mai, recuperando la fiducia e la comprensione dell’uomo e dell’umanità così come Faber ha scritto nella sua bellissima “La città vecchia”
Se ti inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli
In quell’aria spessa carica di sale, gonfia di odori
lì ci troverai i ladri gli assassini e il tipo strano
quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano.
Se tu penserai, se giudicherai
da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni più le spese
ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
se non sono gigli son pur sempre figli
vittime di questo mondo.
Non farti cadere le braccia….per un 2019 nel segno della resistenza
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