In ricordo di Fava 35 anni dopo
In una Catania particolarmente fredda, l’appuntamento è in piazza Roma, di fronte a uno degli ingressi di Villa Bellini. Pian piano arrivano sempre più persone, sia membri di associazioni e comitati sia semplici cittadini; quelli che sono già lì si muovono per cercare di riscaldarsi un po’. Finalmente il corteo parte con in testa lo striscione dei “Siciliani giovani”. Il silenzio che accompagna la marcia viene interrotto solo da qualche coro e da un “Bella Ciao” intonato dai presenti. Arrivati nell’ex via dello Stadio, strada oggi intitolata a Giuseppe Fava, proprio perché luogo del suo omicidio, il corteo, in religioso silenzioso, conclude il suo percorso sotto la lapide commemorativa sulla quale viene deposto un mazzo di fiori.
Dopo un momento di raccoglimento l’evento si sposta nel teatro che si trova dall’altro lato della strada, il Verga dello Stabile di Catania, dove Fava era solito andare per mettere in scena le proprie opere. 5 persone sul palco: 4 ospiti: Giovani Maria Bellu, Luigi Ciotti, Claudio Fava e Armando Spataro; e un moderatore: Mario Barresi. Il titolo del dibattito è “L’antimafia 35 anni dopo: dire, fare o sembrare”. Ovviamente il primo argomento del dibattito è legato al sistema Saguto e al sistema Montante, due delle vicende che hanno sconvolto, e continuano a danneggiare, il mondo dell’antimafia in Sicilia e in Italia. Vengono affrontati tanti temi ma ciò che viene ribadito più volte dai relatori è questo: antimafia non è una qualifica da mettere sul bigliettino da visita, per essere considerati più importanti, né qualcosa da ostentare come se si facesse parte di un’elite che ha il monopolio della lotta alla criminalità organizzata. L’antimafia si fa, innanzitutto, svolgendo il proprio dovere e rispettando la comunità in cui si vive, evitando le scorciatoie e ricordandosi che la società non è composta solo da amici e famigliari per cui chiedere o fare favori. Antimafia è non aspettare l’intervento della Magistratura, la cui competenza è accertare le responsabilità penali ma non moralizzare il paese; questa interessa tutti, ognuno facendo la propria parte, a partire dai banchi di scuola. Queste vicende, ovviamente, hanno colpito duramente l’immagine dell’antimafia ma questo non ci deve scoraggiare. Bisogna impegnarsi attraverso i fatti e non attraverso le parole. I fatti sono visibili e possono essere simboli che scuotano le coscienze, unico modo per evitare il proliferare delle pratiche opache dove le mafie hanno gioco facile.
Non bisogna dimenticare che Fava fosse un giornalista, e il motivo per cui Cosa Nostra decise di ucciderlo è stato proprio il suo scrivere articoli ed inchieste che mettevano in luce la presenza mafiosa in una città dove addirittura alcuni magistrati negavano ci fosse. Il mestiere del giornalista è indubbiamente in crisi. Il mondo sta cambiando e il web fa sì che la notizia debba essere immediata, senza controlli e senza spunti di riflessione. Questo mestiere, però, è fondamentale perché l’opinione pubblica abbia contezza di ciò che succede. Al giorno d’oggi il tema mafioso è quasi scimmiottato. Ogni cosa è mafia, quindi niente lo è; quale regalo migliore per le associazioni mafiose. Il dovere del giornalista è raccontare la verità sostanziale e raccontare le cose con onestà. Giovanni Maria Bellu, vincitore del premio Fava di quest’anno, fa notare come evidentemente sia stato un errore dare certi valori per scontati, sia quelli democratici sia quelli legati all’antimafia.
Dobbiamo impegnarci affinché quei valori, per noi fondamentali ma oggi poco considerati, tornino a essere vissuti dalla società così che vengano davvero assimilati e si possano, finalmente, dare per scontati. E dobbiamo stare al fianco di coloro che, credendoci come noi, si mettono in gioco sacrificando alcune comodità. Ormai la storia dovrebbe averci insegnato che la rete è l’unico modo per fare grandi passi in avanti e che, colui che non viene lasciato solo, difficilmente può essere attaccato, neanche da organizzazioni tanto potenti quanto quelle mafiose.
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