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A riveder le stelle

Francesco Donnici il . Giovani

48413380_10156663327956745_1498069809567367168_nUna riflessione su un viaggio, una comunità, un sogno, alla fine dei primi tre anni di ‘Benfatto’, il  percorso delle Politiche Giovanili di una Libera che cambia e cresce nei numeri, nell’impegno e nell’obiettivo di un mondo più giusto e più umano.

Le domande per le quali si cerca perennemente risposta lungo il proprio personale percorso, come in quello di comunità, sono sempre le stesse: da dove veniamo? Chi siamo? Dove stiamo andando?

Il racconto è ambientato proprio “nel mezzo del cammin di nostra vita” e parte dall’intreccio di tante storie che corrono veloci lungo binari fatti di sogni, a bordo di un treno che attraversa tutta l’Italia solcando anche i mari per giungere fino alle isole. È concretamente impossibile, molti sosterranno, che un “treno” possa unire l’intera Italia da Nord a Sud e viceversa. Cosa comprensibile, poiché quegli stessi molti si abituano a vedere la realtà con gli occhi che hanno appiccicati alle loro teste; quegli occhi ai quali, spesso, sfugge “l’essenziale”. Il mare che attraversiamo, che può al contempo donare la speranza e togliere la vita, non è altro che la distanza che separa il dire dal fare. Quanto lunga sia, sta al nostro coraggio stabilirlo.

Ecco perché la storia, una delle tante storie, parte da un’inversione dell’esistente, quella secondo cui 1+1=3, unendo tra loro addendi inconsapevoli di giungere al numero perfetto.

Sono tre, gli anni come le Cantiche di un viaggio. Spesso citiamo l’ultima terzina facendone la nostra ragione di vita senza però renderci conto di tutto l’arduo percorso che bisogna fare per giungervi. Il viaggio è tortuoso e non vogliamo accettarlo perché taluni ci hanno fatto credere che Inferno, Purgatorio e Paradiso sono ad attenderci in un altro momento, quando invece li stiamo già vivendo senza accorgercene. Il nostro viaggio è una grande commedia molto poco divina e per questo ci viene richiesto di agire subito affinché l’immobilismo non continui a generare macerie. Non ci sentiamo pronti, ma possiamo già esserlo per sconfiggere le mafie e la corruzione, ridare protagonismo alla dignità umana, proteggere il nostro pianeta dai danni che inconsapevoli stiamo già soffrendo.

Sono tre, le case ed i famosi porcellini, come ricorda Davide Mattiello al termine di un discorso che ha in sé il soffio del vento e la fiamma ardente che radono al suolo le architetture instabili.

Una comunità per essere tale non può evitare il conflitto e deve avere solide basi. Ci vuole tempo, bisogna investire sui materiali nella consapevolezza di avere l’obiettivo non tanto di edificare una struttura, ma di viverla.

Ecco perché dobbiamo educarci ad un apparente paradosso: vivere una struttura non significa barricarsi entro quattro mura, ma abbattere qualsiasi barriera. Se costruisco “casa mia” per me, quella stessa opera, con me, conoscerà la fine del suo senso, ma se in quella casa sarò capace di accogliere gli altri, soprattutto nel momento in cui dovranno fuggire dal crollo delle fondamenta delle loro vite, allora la mia opera sopravvivrà anche dopo di me. Siamo chiamati ad una scelta che è lo spartiacque tra la vita e la morte dei nostri sogni, dei nostri valori e della nostra società. Abbiamo i mezzi per scegliere cosa vogliamo essere, ma bisogna decidere se vogliamo che il fine debba unanimemente essere quello della giustizia sociale.

Sono state tre, tra tante, le ispirazioni: Don Lorenzo Milani, Danilo Dolci, Adriano Olivetti.

Sono tre i loro sogni che poi sono diventati milioni, ancora destinati a moltiplicarsi nel momento in cui ci viene imposta silenziosamente una legalità con le sembianze di un’ombra proiettata su di noi con gli occhi del mostro. “Sicurezza” la chiamano, ma a saperla osservare, se ne sta lì nell’angolo dove la violenza di pochi l’ha confinata a discapito di molti. Va difesa, la legalità. È richiesta, oggi, come in tutte le battaglie, una corsa alle armi.  “Armi” come la cultura, la verità, l’umanità, i diritti universali, fondamentali e sociali, che possono far paura, ma non dovrebbero; “Armi” azionate dalla disobbedienza civile che si riscopre virtù attraverso progetti che non possono rinunciare ad avere una dimensione etica.

Succederà così che il cristiano non rimarrà più chino di fronte a nessun altare, ma in quanto “ultimo” solleverà le ginocchia e si metterà al servizio degli ultimi. Chi cerca diritto smetterà di bramare il favore nella riscoperta delle radici che torneranno a filtrare vita per il territorio. L’essere umano tornerà anteposto alle spietate logiche dell’economia mondiale che in nome del profitto tolgono sempre più dignità al capitale umano che lo genera.  Il mondo non sarà più per pochi, ma si riscoprirà alla portata dei bisogni di tutti.

È difficile e forse anche un po’ sognante questo discorso, soprattutto al giorno d’oggi, dove la confusione che ci circonda genera ansie, dubbi, frustrazione, aggressività, quindi oscurità, ma è anche vero “che i sognatori sono stati le persone più realistiche perché capaci di tracciare percorsi tangibili”.

“Ma io so, in qualche modo, che solo quando è abbastanza buio, si possono vedere le stelle”, diceva Martin Luther King ricordato da Don Ciotti, e mi ricordo che il 3 parla anche nella nostra Costituzione e dice che tutti “hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge” e che l’uguaglianza, per essere tale, non può rimanere lettera morta, ma deve vivere nella sostanza affinché vengano “rimossi gli ostacoli di ordine economico e sociale” , che è compito della Repubblica, ma se ci pensate bene, anche nostro.

“E quindi uscimmo a riveder le stelle”, alla fine di un cammino dove abbiamo trovato i mezzi per orientarci e proseguire. Quelle stesse stelle appese ad un cielo che proprio dal giorno in cui è iniziata l’ultima tappa di questo percorso, con Antonio Megalizzi, sembra avere un brillare in più.

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