Sicurezza, accordi di vicinato e coordinamento forze polizia
Che nel nostro Paese, “il più appetibile per i criminali” secondo la relazione del febbraio 2018 della Commissione parlamentare Antimafia, ci sia un gran bisogno di sicurezza, è evidente per molti cittadini e sarebbe dovuto esserlo anche per gli esponenti politici e di Governo che si sono alternati in questi ultimi anni.
Non sono episodici i fatti di ladri nella case, nei negozi, nelle strade, talvolta con metodi anche violenti. Le notizie di delitti in calo stando alle statistiche, non tranquillizzano nessuno anche perché in molti casi non si va più a denunciarli per una sostanziale sfiducia negli esiti di indagini contro ignoti. Innanzi a questo bisogno di sicurezza collettiva che è reale e non percepita come si sforzano di sostenere alcune “autorità”, ricollegabile alla criminalità predatoria ma anche a quella più dirompente e silenziosa della c.o. , il passo più importante dovrebbe essere quello di mettere in campo più poliziotti e carabinieri. Invece stiamo assistendo ad una serie di iniziative, alcune già concretizzatesi, altre avviate, in molte città, di costituzione di gruppi-comitati di vicinato per collaborare nella prevenzione di reati con le forze di polizia e, più in generale, nel controllo di aree urbane.
Aspetto questo, reso ancor più preoccupante, da una sorta di avallo politico-istituzionale fatto, di recente, dallo stesso Ministro dell’Interno che, con una direttiva del novembre scorso inviata ai Prefetti per contrastare più efficacemente lo spaccio di stupefacenti, sottolineava il “valore aggiunto” che sarebbe derivato nella prevenzione dalla “attività di osservazione assicurata dai cittadini, in specie nelle aree caratterizzate da maggiore degrado”. Veniva, quindi, sollecitato il “..coinvolgimento dei privati nelle relative segnalazioni (..) all’interno di più strutturate forme di collaborazione, da definire e regolamentare in seno ai cosiddetti “Accordi di vicinato”. Da quel momento, dopo il placet ministeriale, nei primi giorni di dicembre, è stato un fermento di nuove iniziative. Così, a Trento con le “guardie giurate sui treni”, a Udine dove è tornata “l’idea di utilizzare i cittadini come sentinelle”, a Cascina (Pisa) con le “guardie di città di vigilanza di notte”, a La Spezia con le “passeggiate di sicurezza di Forza Nuova nelle zone degradate”, ad Assisi (Perugia), con l’intesa tra Prefettura e Comune sui “gruppi di vicinato”, a Roseto (Teramo) con i “cittadini osservatori volontari per garantire più sicurezza”, a Pontedera (Pisa), con le “sentinelle antiladri”, a Trieste con finanziamenti assicurati ai sindaci ch arruolano “steward urbani” per la sicurezza, a San Martino (Brescia), con “15 sentinelle per il controllo del vicinato”, a Rimini con la nascita del “comitato cittadini in allerta”. Solo per citarne alcuni.
Si tratta, in tutti i casi di gruppi di cittadini, con un “referente” individuato e responsabile di successive, eventuali, comunicazioni di movimenti “sospetti” di persone e veicoli ai centralini delle forze di polizia ( polizia di stato, carabinieri e guardia di finanza, quelle indicate, cioè, nell’art.16 della Legge 121/1981) e delle polizie locali. Si tratta, come ho avuto occasione di scrivere in altre occasioni, di attività di vigilanza, di osservazione, di annotazione che rappresentano alcune delle fasi in cui si concretizza l’attività di prevenzione che spetta esclusivamente alle forze di polizia e che non può essere delegata ad altri. Una degenerazione di tale dimensione del sistema della sicurezza pubblica può portare a situazioni spiacevoli.
Si pensi alle attività di delicate indagini svolte da organismi di polizia, non solo territoriali, con appostamenti e pedinamenti, in abiti civili, con autovetture munite di targa di copertura e alla eventualità di segnalazioni fatte dalle “sentinelle” che ritenendo di trovarsi di fronte a persone sospette possono danneggiare l’indagine, mettere in pericolo la loro incolumità ma anche quella degli operatori di polizia che agiscono nel più completo anonimato. La “collaborazione” dei cittadini è sicuramente preziosa quando viene sollecitata nelle situazioni particolari. Senza istituzionalizzare gruppi di cittadini-sentinelle e senza comitati di allerta nelle strade dove vorremmo, invece, vedere più agenti di polizia e carabinieri.
Il confine tra il coordinamento informativo e quello investigativo delle forze di polizia.
Nel frattempo, sempre in tema di sicurezza, si registra che la Corte Costituzionale, con la sentenza n°129 del 7 novembre scorso, ha annullato la disposizione adottata dal Governo-Renzi, con il D.Lgs. n.177/2016, all’art.18, comma 5, che aveva stabilito un percorso per la polizia giudiziaria, notoriamente alle dipendenze dell’autorità giudiziaria, per far “risalire le notizie di reato attraverso la scala gerarchica fino al Vertice della Forza di Polizia”.
Toccherà al Capo della Polizia riscrivere completamente ( o annullare definitivamente) le “istruzioni per la comunicazione di notizie relative ad informazioni di reato all’Autorità Giudiziaria” impartite alla Polizia di Stato nell’ottobre del 2016, poiché La Corte, investita della questione con un ricorso presentato, nel luglio 2017, dal Procuratore della Repubblica di Bari secondo cui la norma suddetta era illegittima in quanto avrebbe parzialmente abrogato il segreto investigativo disciplinato dall’art. 329 del codice di procedura penale, imponendo, ai responsabili dei vari presidi di polizia sul territorio, l’obbligo di trasmettere alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’a.g., indipendentemente dagli obblighi previsti dalle norme di procedura penale.
Il decreto legislativo sopra indicato era stato emanato in virtù della legge delega124/2015 ed era destinato a razionalizzare l’organizzazione e l’esercizio delle funzioni demandate alle forze di polizia. Nello stesso provvedimento era stato previsto l’assorbimento, poi avvenuto, del Corpo Forestale dello Stato nell’Arma dei Carabinieri, con tutte le polemiche che ne sono seguite e che proseguono. La norma abrogata dalla Corte, in realtà, aveva destato subito non poche perplessità tra gli operatori del diritto, i magistrati e gli organismi di polizia giudiziaria, per gli equilibri, garantiti da norme costituzionali, che si andavano a toccare tra il potere Esecutivo e quello Giudiziario, in particolare spettante al pubblico ministero da cui dipende direttamente la polizia giudiziaria. Ma, tant’è e le istruzioni sono state emanate anche dai vertici delle altre due forze di polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza. E la Consulta, nella sentenza in questione, non poteva non sottolineare come una eventuale deroga al segreto investigativo doveva essere prevista entro precisi confini, non desunti, né affidati alla “definizione di circolari interne, adottate dalle stesse amministrazioni interessate” (cfr. il comunicato stampa della Corte Costituzionale del 6 dicembre 2018).
Tutto questo, nonostante la particolare cautela con cui erano state scritte le istruzioni per la Polizia di Stato secondo cui le comunicazioni superiori dovevano “essere circoscritte ai soli dati e notizie indispensabili a garantire un adeguato coordinamento informativo..” e riguardare “..situazioni di particolare rilievo anche se non necessariamente concernenti dinamiche di livello nazionale”. Il pericolo, ha ritenuto la Corte, è che l’ambiguità della disposizione impugnata potesse favorire, con la concentrazione di dati e informazioni di significato investigativo presso i vertici delle forze di polizia, “..lo sviluppo di forme di coordinamento investigativo alternative a quelle di competenza del pubblico ministero”.
La Corte, alla fine, è convinta di come vi possano essere “le connessioni per il migliore utilizzo tra le funzioni di coordinamento informativo e organizzativo da un lato e le funzioni di coordinamento investigativo..” per un impiego ottimale delle forze di polizia sul territorio, ma questo presuppone che resti “..in capo all’autorità giudiziaria il potere di stabilire il quando, il quomodo ed il quantum delle notizie riferibili”.
E sul punto, dopo la recente polemica scaturita con il Procuratore di Torino dalle notizie date dal Ministro dell’Interno, mentre era in corso un’operazione contro esponenti della c.o nigeriana, la cautela dovrà essere sempre massima.
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