L’insegnamento e la strada da seguire di Silvia Romano e don Luigi Ciotti
In queste settimane sto leggendo un libro molto bello di Ermes Ronchi, un frate dei Servi di Maria, dal titolo “Le nude domande del Vangelo” che riporta una frase dello scrittore Fedor Dostoevskij che dice “il vostro male è che non sapete quanto siete belli” e, aggiunge Ermes Ronchi, lo potete sapere solo se si ha la capacità di conservare e vivere in voi speranza e libertà.
Queste parole mi hanno fatto pensare a due eventi accaduti in questi giorni nel nostro paese, così diversi tra di loro e al tempo stesso così uniti, che riguardano il rapimento della giovane Silvia Romano in Kenya e il conferimento della laurea honoris causa a Luigi Ciotti dall’Università di Parma.
Silvia, che sta dedicando la sua vita ai bambini poveri di questo paese africano, invece di essere oggetto di ammirazione e di ringraziamento, in questi giorni è stata fortemente attaccata e criticata soprattutto sui social da tante persone con le più svariate motivazioni.
Eppure lei vive quello che tutti sappiamo essere una delle cose più belle della vita: dare spazio, tempo, conoscenza, amore agli altri, soprattutto ai più piccoli e poveri.
Luigi Ciotti nel suo discorso dopo aver ricevuto la laurea honoris causa, davanti all’ateneo di Parma ha detto “Guai se nella mia vita venissero a meno la strada e i poveri. Amo l’Italia e voglio continuare a lottare affinché la Costituzione non resti sulla carta ma venga applicata” Lui la strada l’ha scelta ancor prima di diventare prete e di consacrarsi a quel Dio che fin dall’inizio della storia ha scelto di stare dalla parte degli ultimi. Di questo noi cristiani dovremmo essere consapevoli.
Una giovanissima ragazza e un prete di 70 anni, accomunati dall’amore per i più poveri e dall’impegno per il loro riscatto. Due persone che riescono a vivere e conservare in loro la speranza e la libertà e che hanno capito quanto l’uomo e l’umanità possono essere belli.
Guardando a queste due vite e storie, pure così diverse per stagioni vissute e percorsi compiuti, si intuisce che sono animate da una apertura mentale che non può non interrogarci.
E solo dal nostro porsi delle domande, dal non dare per scontato niente, dal cercare dentro di noi nella complessità della vita, e non nella semplicità di risposte superficiali a problemi complessi che troppi oggi cercano di darci, che possiamo riscoprire e capire la grandezza che è dentro di noi. In tutti, nel bianco e nel nero, nel cristiano, nel musulmano e nell’ateo, nel ricco e nel povero.
Ma c’è un altro punto interessante che mi viene in mente pensando a Silvia e Don Luigi e che ho scoperto anni fa facendo il primo corso alla Fraternità di Romena con Pier Luigi Ricci: l’aspetto psicologico che ogni uomo deve vivere costantemente di essere a volte “padre” e a volte “figlio”,in ogni ruolo, in ogni tipo di rapporto.
Essere padre da un punto di vista psicologico vuol dire principalmente essere una guida, un esempio, una persona da ascoltare, di cui potersi fidare; essere figlio vuol dire ascoltare, aver bisogno di una guida, cercare la propria strada a volte osando e anche sfidando.
E a volte possono essere i nostri figli, i nostri giovani, un esempio per noi più anziani, perchè se nella nostra vita non si è costantemente entrambe le cose, non si cresce, si resta nella superficialità.
Abbiamo sempre bisogno di maestri; anche a 70 anni; e a 20 anni si possono dare esempi, come quelli che ci stanno dando Silvia e Don Luigi con il loro impegno. E sono certo che anche Luigi Ciotti ha imparato e impara molto dalla bellezza che emana dai ragazzi di Libera.
Ma Silvia e Don Luigi mi spingono a un’ultima riflessione che mi viene da una canzone di Giorgio Gaber dal titolo “C’è solo la strada”.
In quella canzone Gaber dice “C’è solo la strada su cui puoi puntare, la strada è l’unica salvezza, c’è solo la voglia, il bisogno di uscire, di esporsi nella strada, nella piazza, perchè il giudizio universale non passa per le case, le case dove noi ci nascondiamo, bisogna ritornare nella strada, nella strada per conoscere chi siamo”.
Solo la strada, ovvero la partecipazione alla vita sociale e politica, la partecipazione critica ma ricca di speranza e di voglia di libertà, può permettere a ciascuno di noi di scoprire la nostra personale bellezza e quella che è negli altri nostri compagni di viaggio.
Silvia e Don Luigi sono lungo quelle strade dove si impara a vivere, dove non ci sono mete prestabilite, ma cammini da compiere, dove non si sa dove ci porterà il viaggio e gli incontri, ma consapevoli che nell’altro ciascuno di loro potrà incontrare bellezza, accoglienza, amore. E non ci può essere speranza e libertà senza la bellezza, l’accoglienza e l’amore.
Se non teniamo aperte le porte delle case che ci siamo costruiti, se non ci impegniamo per qualcosa che è più grande delle nostre paure e di quelle che altri ci costruiscono per dominarci e non farci pensare, quelle stesse mura diventeranno una tomba dove stare sepolti anche da vivi.
Dunque grazie Silvia e Don Luigi di inviarci questo messaggio di speranza e di libertà.
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