Manovra economica: ogni promessa è debito…
Ogni promessa è debito: è forse questa la frase che sintetizza meglio la manovra economica del Governo.
In campagna elettorale le due forze politiche che compongono al maggioranza hanno fatto tante promesse agli elettori. Per mantenere quelle promesse adesso bisogna spendere in deficit, poiché le casse dello Stato sono vuote, anzi, sono piene di debiti. Questa situazione non è una sorpresa: tutti gli osservatori attenti già in campagna elettorale l’avevano prevista. Ma il popolo così ha votato in maggioranza e di conseguenza siamo arrivati alla “manovra del popolo”. Tutto bene, dunque?
In realtà, ci sono diverse ragioni per sostenere che non va affatto bene.
Anzitutto questa reiterata retorica sul “popolo” è esagerata e fuori luogo. È il caso di ricordare che la Costituzione è posta come limite anche alla sovranità popolare (art. 1). Non tutto può essere deciso dal popolo e non tutte le decisioni possono essere prese con la semplice maggioranza. Per fare un esempio, il referendum popolare è vietato per alcune materie: leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Semplificando, per motivi facilmente comprensibili, non si può (ed è inutile) chiedere agli elettori se vogliono pagare meno tasse…
C’è un secondo punto non meno importante. Chi sta al Governo purtroppo cade spesso nell’errore di attribuirsi la volontà popolare. Si dice: il popolo è con noi, i sondaggi ci danno la maggioranza, la gente ci applaude. Tutti invece dovremmo sapere che il popolo è considerato un corpo unico soltanto nei regimi dittatoriali. In una società democratica il popolo è plurale, come la parola “people” in lingua inglese. Ridurre e semplificare il volere del popolo, intestandolo esclusivamente a se stessi, non è un buon segnale per la democrazia. Il leaderismo non è il frutto migliore, ma un vizio dei sistemi politici moderni. Invece, è la partecipazione a dare spessore ad una comunità democratica, non la delega ad una classe politica, ad un partito, ad un capo.
Un antico detto ci esorta a considerare nelle nostre decisioni le ricadute sulle prossime sette generazioni. Una “manovra del popolo” dovrebbe seriamente considerare le conseguenze sui posteri. Persistere nella strada di indebitare ulteriormente lo Stato italiano, che ha già un debito altissimo, è una condanna nei confronti del popolo di domani e dopodomani. Quali genitori lascerebbero in eredità ai propri figli un debito? La famiglia Italia si sta dimostrando degenere, poiché persiste nel caricare pesi enormi sulle spalle dei posteri, un popolo di sudditi del debito contratto dai padri e dai nonni.
L’Italia è un Paese in cui le risorse non mancano. Tutti i dati e le statistiche dimostrano che si potrebbe chiudere il bilancio dello Stato in pareggio, anzi in attivo. Anche il debito potrebbe essere ridotto e azzerato. Sarebbe una strada da perseguire con decisione: non perché ce lo chiede l’Europa, ma perché è giusta e conveniente. È noto che già da 25 anni la differenza tra entrate e uscite (avanzo primario) del bilancio italiano è positiva. Peccato che questo utile non sia mai sufficiente a pagare gli interessi sul debito e tanto meno a ridurre il debito. Un debito, come sanno bene i cittadini che si sono trovati in questa situazione, è un meccanismo che rischia di trasformarsi in un vicolo cieco, a maggior ragione se i tassi di interesse sono elevati a tal punto da diventare usurai.
Perciò beato il popolo che non ha bisogno di fare debiti. Perché alla fine è sempre il popolo che deve pagare sia il debito sia gli interessi. Per questo una manovra del popolo che aumenta l’indebitamento è in realtà una manovra contro il popolo. O meglio: è una manovra contro i poveri, perché i poveri sono sempre dalla parte dei debitori, mentre i ricchi da quella dei creditori.
Anche chi sta al timone del Governo dovrebbe saperlo: il debito in realtà rappresenta una promessa vanificata, poiché diventa il principale ostacolo alla realizzazione di ogni promessa.
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