Scoprire la bellezza di Alcamo attraverso i campi E!state Liberi
Scoprire Alcamo
Gli occhi voraci dello straniero, quando accarezzano con lo sguardo un territorio ancora sconosciuto, scrutano con curiosità ciò che li circonda, vogliono scoprire, vogliono andare nel profondo delle cose, valicando l’apparenza senza paure o esitazioni, oltrepassando gli stereotipi più diffusi.
Un’occhiatina fugace, infatti, non è mai sufficiente a inquadrare pienamente una realtà nuova, nelle sue bellezze e complessità. Occorre invece munirsi di pazienza, audacia e determinazione. Il successo non è mai garantito, specialmente perché talvolta le criticità di un luogo si nascondono proprio dietro le sue attrattive più sfavillanti.
Scoprire Alcamo non è stato un compito semplice per il gruppo di campisti che hanno partecipato al progetto “E!State Liberi! 2018”, soprattutto in virtù dell’incontro con un sistema di pensiero nuovo e al contempo vecchio, riconducibile a un modello culturale che anche nel territorio alcamese ha trovato terreno fertile, e che si impone, sfacciato e autoritario, sulle comunità autoctone che in molti casi lo accettano (più o meno) silenti.
Alcamo, bella e dannata, si trova a fronteggiare grandi e complesse sfide, davanti alle quali si mettono alla prova resilienza e partecipazione della cittadinanza. Qui, infatti, spesso sono gli interessi economici e politici a pilotare attività sociali e culturali, influenzando inevitabilmente l’autodeterminazione delle comunità. È l’invisibile che governa questo territorio, è ciò che non si vede, non si sente, di cui non si parla, che fa la differenza. Decidete voi come chiamarlo. Certo è che Alcamo, territorio di straordinaria bellezza, di immenso potenziale artistico, culturale e naturalistico, si trova quasi abbandonata a se stessa. E le colpe sono tante.
Eppure Alcamo sopravvive, e lo fa grazie alle tante Associazioni e ai liberi cittadini che hanno deciso di battersi per i diritti negati, per il rispetto della legge e per la salvaguardia del territorio. Tra le numerose organizzazioni locali appare in prima linea “Libera, Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”, impegnata ad Alcamo e nel resto d’Italia nella sensibilizzazione ai temi dell’antimafia, dell’impegno sociale e della legalità.
Libera Alcamo
“Libera Alcamo- spiega Marcello Contento, responsabile del progetto “E!State Liberi!”- nasce dalla volontà di alcuni ragazzi alcamesi che hanno deciso di incanalare le loro forze in un programma più grande, quello di Libera nazionale, scegliendo e condividendo un modello inclusivo di crescita per la città e di sviluppo di senso civico collettivo.”
Marcello, così come Eva, Alessandra, Federica, Simona, Vincenzo e altri membri dell’Associazione, ha compiuto una scelta nella propria vita: si è schierato dalla parte dell’antimafia, senza indecisioni o ripensamenti, ma piuttosto rendendo quest’ultima un modus vivendi derivante da un impulso interiore insopprimibile.
L’obiettivo di Libera è quello di divulgare il più possibile la coscienza della legalità, di trasformarla in parte integrante dell’identità di una comunità e di trasmetterla innanzitutto ai più giovani, i quali, nati in un contesto in cui la mafia si è trasformata, preferendo l’infiltrazione nel sistema economico e politico, più che l’azione armata, spesso si trovano all’oscuro della problematica criminale, ignorando la sua diffusione capillare in Italia e nel mondo.
Dunque Libera coltiva il sogno di “liberare” i più giovani dall’oscurantismo che impera su questo tema, e lo fa attraverso diverse iniziative, tra le quali si distingue per efficacia e contenuto quella dei campi di “E!State Liberi!”.
Il progetto “E!State Liberi!”
L’iniziativa, diffusasi attualmente in 13 regioni italiane, coinvolgendo circa 50 località, consiste in una settimana di vita di campo, fatta di momenti di condivisione, di impegno sociale e di approfondimento. L’esperienza è incentrata sulla promozione del riutilizzo sociale dei beni confiscati e sequestrati alle mafie, quindi sulla formazione dei partecipanti in relazione ai temi della legalità e dell’attivismo, nonché alla conoscenza dei territori coinvolti.
Anche i giovani membri di Libera Alcamo hanno deciso di aderire all’iniziativa e di proporla nel loro territorio. Il campo per singoli “Alcamo tra mare, montagna e impegno sociale” si articola in due turni, un primo svoltosi nel periodo dal 16 al 22 luglio e un secondo a metà agosto in parallelo alle attività del Festival “Alcart Legalità E Cultura”.
Le Tre Alcamo
I partecipanti hanno alloggiato presso l’Ostello “Cielo d’Alcamo”, situato sul Monte Bonifato, superficie montuosa facente parte del vasto complesso calcareo che si snoda lungo la costa occidentale della Sicilia, tra la provincia di Palermo e quella di Trapani. Gran parte delle attività del campo si sono svolte proprio nella Riserva Naturale Orientata Bosco d’Alcamo, che si trova nella parte sommitale del Monte Bonifato. Istituita nel 1984, la Riserva Naturale versa ora in condizioni di abbandono e di grave negligenza soprattutto da parte delle istituzioni locali; per questa ragione la cura del sito è risultata di interesse primario per i campisti, che hanno cercato, nel loro piccolo, di contribuire al suo riassestamento (ad esempio rendendo riutilizzabile il Campo di tiro con l’arco della Riserva, ricoperto ormai globalmente da erbacce e piante selvatiche, così come lo scavo archeologico sul Monte Bonifato, che era quasi inaccessibile).
I ragazzi del primo Campo, provenienti da nove regioni italiane (a cui si è aggiunto Gabriel, originario della Francia) hanno subito riconosciuto e ammirato la bellezza del territorio alcamese, dotato di scenari multiformi e molteplici, tali da poter parlare delle “tre Alcamo”. In primo luogo l’Alcamo montana, quella del Monte Bonifato, territorio di immenso incanto e fragilità, spesso soggetto a incendi, attività venatoria non autorizzata e soprusi di varia natura. Tale area è al contempo ricca di un consistente patrimonio culturale (Porta Regina e ciò che resta della città fortificata di Bùnifat, il Castello dei Ventimiglia, la Funtanazza, le Cisterne, scavi archeologici e altro ancora).
La seconda Alcamo, invece, è quella urbana, modernizzata ma allo stesso tempo dotata di un grande capitale storico, culturale e artistico, a partire dal Collegio dei Gesuiti, la Basilica di Santa Maria Assunta e il Castello dei Conti di Modica.
Infine Alcamo, fonte di inesauribili risorse, è dotata di una località balneare, Alcamo Marina, bagnata dalle acque del Golfo di Castellammare e fornita di splendide spiagge incontaminate, oltre che di alcuni rilevanti siti archeologici e culturali.
La storia di Alcamo, come ha spiegato ai ragazzi l’archeologa alcamese Antonella Stellino, che ha diretto i lavori dello scavo inaugurato nel dicembre 2015 sul Monte Bonifato, ha origini estremamente antiche. Si ipotizza che la città sia nata a partire dall’insediamento di Longarico per mano degli Arabi. Si ritiene inoltre che la stessa etimologia del toponimo abbia a che fare col mondo orientale: infatti un’ipotesi collega il nome attuale alla parola araba al-qamah, che significherebbe “terra fangosa” o “terra fertile”.
Le attività dei campisti: Libera tra impegno sociale, cultura e memoria
Le attività dei campisti si sono dunque sviluppate nelle Tre Alcamo, ognuna delle quali ha offerto loro qualcosa, ricevendo in cambio un contributo di incommensurabile valore morale. I lavori dei partecipanti hanno seguito i punti cardine dell’attività di Libera: impegno sociale, cultura e memoria.
In primo luogo i ragazzi hanno svolto delle attività manuali sul monte Bonifato, dedicate alla cura dell’ambiente e alla sua riqualificazione, a sostegno delle associazioni Vivi Il Bosco, Salviamo il Monte Bonifato e Lipu, da anni in prima linea nelle battaglie ambientali.
Di particolare interesse rispetto ai temi dell’impegno e del dialogo sono risultate le testimonianze di figure istituzionali e di cittadini resilienti, tra questi Giulio Pisani, Capitano dei Carabinieri di Alcamo, Nino Provenza, Dirigente della Scuola Media “Bagolino” e Presidente regionale della Lipu, e infine Vincenzo Raspanti, commerciante alcamese particolarmente operoso nel sociale. In merito ad attivismo e cultura i ragazzi hanno incontrato Rino Giacalone, direttore responsabile del giornale web “Alqamah, l’informazione di Alcamo e dintorni”, e i suoi collaboratori, alcuni dei quali aderenti anche a Libera.
I ragazzi hanno inoltre contribuito alla riqualificazione del bene confiscato di Castellammare del Golfo, destinato alle attività di altri campisti; hanno quindi svolto pulizie sia all’interno che all’esterno dell’edificio, hanno montato tende e sistemato l’area.
Memoria: la strage della Casermetta, le storie di Franca Viola e di Giuseppe Di Matteo
Presenza costante è stata la memoria, sfilacciata gradualmente dai responsabili del Campo. Quest’ultimi hanno commemorato e raccontato le storie di personaggi alcamesi divenuti simbolo della battaglia alla mafia e all’ingiustizia, a partire dalla strage della Casermetta, che rappresenta tutt’ora l’unico caso di attacco a un presidio militare avvenuto nella storia italiana, e nel quale vennero uccisi due carabinieri, il diciannovenne Carmine Apuzzo e l’appuntato Salvatore Falcetta. E ancora, la storia di Franca Viola, prima donna italiana a rifiutare il matrimonio riparatore, insignita nel 2014 dell’onorificenza di Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana per la sua scelta coraggiosa che ha segnato una tappa fondamentale nella storia dell’emancipazione delle donne nel nostro Paese.
Ma il fulcro dell’esperienza, il momento più intenso e drammatico per i ragazzi del Campo, è stato quello della visita al Giardino della memoria, sito a San Giuseppe Jato. Il Giardino, nato con l’intento di commemorare il piccolo Giuseppe Di Matteo, è stato luogo di reclusione, agonia, omicidio e annientamento finale del giovane fanciullo.
Chiara Cannella, di Libera Palermo, insieme a Francesco Citarda, spiega che Giuseppe fu rapito quando aveva quasi 13 anni, il 23 novembre del 1993. L’ordine del sequestro venne dato da Giovanni Brusca, latitante e boss di San Giuseppe Jato, attualmente condannato per oltre un centinaio di omicidi, tra cui quelli della strage di Capaci. L’obiettivo dello scannacristiani, soprannominato così per la sua ferocia, era convincere il padre, il pentito Santino Di Matteo, a ritrattare tutte le accuse relative alla strage di Capaci e all’uccisione dell’esattore Ignazio Salvo. Nonostante le minacce, Santino continuò la collaborazione con la giustizia. Così, quando Giovanni Brusca seppe di essere stato condannato all’ergastolo proprio per le rivelazioni di Santino, ordinò ai suoi uomini di uccidere il piccolo Giuseppe. Dopo 779 giorni di prigionia, abusi e violazione dei diritti primari, l’11 gennaio 1996, Giuseppe Di Matteo venne strangolato e sciolto nell’acido. l lavoro inquirente consegnerà alla memoria i nomi degli esecutori materiali del delitto: Vincenzo Chiodo, Enzo Salvatore Brusca e Giuseppe Monticciolo.
La giustizia non è un’utopia
La storia di Giuseppe ha fatto sì che un dubbio, una paura infernale si insidiasse in tutti i presenti. Un dubbio che mormora: “Giuseppe potrei essere io?”.
E sebbene lo sfortunato contesto familiare di Giuseppe abbia inevitabilmente inciso sulla sua sorte, basta guardare al presente e al passato per poter afferrare la verità. La storia ci insegna infatti che la mafia non se la prende solo con i pentiti, con i magistrati, con le forze dell’ordine o con i giornalisti. La mafia si insidia ovunque. Inquina l’aria che respiriamo. E non ce ne accorgiamo, ma continuiamo a respirarla, finché essa stessa diventa parte di noi, parte integrante della nostra vita, del nostro modo di pensare e di agire.
E così la mafia diventa abitudine, diventa un modo di fare le cose. E se il disegno militare viene abbandonato, la mafia non si indebolisce, ma diventa più pericolosa. Perché in questa maniera si trasforma, diventa multiforme, ed è più difficile riconoscerla. Diventa corruzione, negazione dei diritti, accettazione del malaffare, rassegnazione all’impotenza, il più crudele individualismo, sdoppiamento dell’identità, abbandono dei doveri del cittadino, e prima ancora dei doveri di essere umano.
Quindi… come riconoscere la mafia? Come vedere l’invisibile? Come tastare l’inconsistente? Come udire ciò che è muto?
Ebbene, occorrono occhi, voci e orecchie nuove. Occorrono persino polmoni nuovi. Per poter respirare l’aria pura della giustizia. Per poter gridare contro il malaffare. Per poter udire l’eco di tutti quelli che hanno gridato in passato, le cui voci ritornano a noi. Per poter sentire il sapore amaro delle lacrime di chi ha perso qualcuno a causa della mafia. Per poter abbracciare e finalmente realizzare il sogno di un mondo più sensibile, più giusto ed equo. Perché un mondo rispettoso della legge e della legalità, dei diritti del singolo e della collettività, non può e non deve essere un’utopia.
Libera cerca di mettere in pratica questi precetti, prova a renderci più umani, a ricordarci che abbiamo dei diritti per cui lottare e dei valori in cui credere. Dei valori che non possono e non devono essere negoziabili, a nessun costo.
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