Il fresco profumo della libertà
“Sono passati 26 anni dalla morte di mio padre, Paolo Borsellino, ucciso a Palermo insieme ai poliziotti della sua scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina. E, ancora, aspettiamo delle risposte da uomini delle istituzioni e non solo. Ci sono domande – le domande che io e miei fratelli Manfredi e Lucia non smetteremo di ripetere – che non possono essere rimosse dall’indifferenza o da colpevoli disattenzioni”.
Scrive così Fiammetta Borsellino – figlia del magistrato ucciso nella strage che ha spezzato anche le vite dei suoi agenti di scorta – il 17 luglio su Repubblica.
La figlia di Borsellino rivolge 13 domande, dirette e taglienti perché ancora le ferite di quell’attentato non si sono rimarginate, ai rappresentanti della magistratura e delle forze dell’ordine che, al tempo dei fatti, furono investiti delle responsabilità gestionali e investigative e che oggi sono chiamati a rispondere di un depistaggio iniziato il 19 luglio del 1992. O forse molto prima visto che alla moglie Agnese, il 18 luglio, Borsellino dice: “Non sarà la mafia ad uccidermi ma saranno altri. E questo accadrà perché c’è qualcuno che lo permetterà. E fra quel qualcuno ci sono anche miei colleghi…”.
Le tredici domande di Fiammetta, Manfredi e Lucia Borsellino risuonano, devono risuonare nelle coscienze di tutti il 19 luglio 2018 e devono impedire di guardare alla ricorrenza con superficialità e retorica. E di non seppellire di nuovo tutto già il giorno dopo le ‘cerimonie’, le ‘celebrazioni’.
Anche perché il Procuratore Aggiunto del Tribunale di Milano Alessandra Dolci – intervenuta presso i Giardini “Falcone e Borsellino” in Via B. Marcello 4 all’interno del momento promosso da Libera e dalla Scuola di Formazione Antonino Caponnetto – ricorda come l’infiltrazione della mafia anche qui al nord, a Milano, sia un fenomeno che non richiede celebrazioni ma azioni.
“Spesso sono gli imprenditori che per convenienza si rivolgono alla criminalità che esercita il controllo del territorio. Ognuno – afferma con energia e con durezza il Procuratore Aggiunto – nel suo ruolo istituzionale, imprenditoriale e privato deve fronteggiare questo fenomeno di collusione silente. Segni silenziosi dell’omertà che gli imprenditori manifestano – racconta ancora Dolci – pagando il pizzo per esercitare il proprio lavoro sul territorio controllato da un gruppo mafioso: messi davanti all’evidenza e alle prove di intercettazioni gli imprenditori negano, negano che quella ‘tassa’ sia il pizzo. Mafiosità: più difficile da stanare perché è complicità silente che abbraccia la rete mafiosa e la foraggia di denaro e di potere”.
“Se la mafia è sempre presente, significa che abbiamo perso?” – si domanda e chiede a tutti Lucilla Andreucci, referente di Libera Milano – “No, perché davanti all’‘io’ della mafia, possiamo e dobbiamo rispondere con il ‘noi’ della comunità, con il ‘noi’ della società civile e dello Stato: solo uniti ed insieme si combatte la mafia e si può pensare di vincere”.
Lucilla Andreucci esprime inoltre uno dei più importanti motivi e dei moventi che hanno spinto Libera ad organizzare questo momento: “La memoria e la gratitudine per questi uomini dello stato, morti per proteggere e tutelare lo stato, per la giustizia di cui esso è garante, si deve trasformare in impegno”.
Per questo la referente milanese dell’associazione fondata da Don Luigi Ciotti nel 1995 ricorda come Libera abbia istituito un servizio di denuncia anonimo – Linea Libera – “per fare rete intorno a chi ha bisogno, a chi ha il coraggio di denunciare. Questo numero è per non lasciare mai più sole persone, uomini e donne, come accadde a Rita Atria dopo la morte di Paolo Borsellino”.
Sulla stessa lunghezza d’onda David Gentili, presidente della Commissione Consiliare Antimafia di Milano: “In città abbiamo, come Comune come Città Metropolitana istituito un numero telefonico di anonimo per i dipendenti pubblici e per quelli delle imprese che hanno vinto appalti pubblici con il Comune”.
Il sindaco di Milano e della Città Metropolitana di Milano, Giuseppe Sala interviene evidenziando due punti importanti al fine di rendere significativa la lotta alla criminalità organizzata: in primo luogo, ricorda come il Comune si sia mosso tempestivamente a fronte della denuncia di un commerciante, proprietario de ‘La Ligera’ di Via Padova che si è trovato al centro di un tentativo di estorsione non assecondato e per questo la facciata del suo esercizio è stata crivellata di colpi d’arma da fuoco. La denuncia però ha messo in moto i meccanismi di diffamazione e di omertà allo stesso tempo per coprire quanto accaduto o per sminuirlo: un’ottica egoista e mafiosa di agire. È proprio per questo che il Sindaco, in secondo luogo, loda l’operato delle associazioni: “Sono fondamentali per tessere una rete capillare che mantenga coesa la società civile e la renda informata e vigile affinché le istituzioni possano intervenire tempestivamente e con efficacia”.
Dopo il silenzio delle 16.58, orario dell’esplosione del tritolo che ha ucciso in Via D’Amelio Borsellino, Catalano, Loi, Li Muli, Cosina, Traina, e l’applauso denso di gratitudine, per chi è morto e ha lasciato un segno, e di incitamento per chi deve prendere in mano il testimone che loro hanno ceduto: questo testimone rappresenta l’impegno affinché le istituzioni sappiano fare giustizia e far emerge la verità su quella strage. L’applauso delinea anche l’obiettivo che l’intera collettività deve perseguire: agire uniti per combattere la mafia e la corruzione.
Prende quindi la parola Francesca Bommarito, sorella di Giuseppe Bommarito – appuntato dei carabinieri ucciso in un attentato eseguito da sicari di Cosa Nostra a Palermo il 13 giugno 1983, insieme al collega Pietro Morici, anch’egli di scorta al capitano Mario D’Aleo – che legge una lettera, dedicata all’agente di scorta Emaunela Loi, scritta dagli alunni della classe 3^ dell’Istituto Comprensivo “Emanuela Loi” di Mediglia (Mi): “I ragazzi della scorta sono angeli custodi, esempi di coraggio e baluardi di memoria: erano agenti, vite spezzate in servizio. Il loro è stato un sacrificio non voluto. Questi uomini ed Emanuela sono però diventati per tutti noi – scrivono ancora gli studenti dell’Istituto “Emanuela Loi” che hanno sempre la voce commossa di Francesca Bommarito – baluardi di valori per cui abbiamo bisogno di ricordali sempre, non solo il 19 luglio, e stimoli per lottare per la legalità attraverso il lavoro di tutti i giorni, come quello che svolgeva Emanuela quel pomeriggio d’estate a Palermo”.
Infine, Giuseppe Teri – Vice-Presidente della Scuola di Formazione “A. Caponnetto” – mette in rilievo il concetto che sta alla base di quel momento: “La memoria viva, ovvero che i principi che hanno mosso Paolo Borsellino e l’etica del servizio e del dovere che scorreva nel sangue degli agenti della scorta, passino a noi: bisogna opporre alla banalità della pervasività del male, la contagiosità del bene, della trasparenza. Questa dev’essere una battaglia di ognuno di noi ma soprattutto dello Stato e per lo Stato stesso”.
Due tipi di memoria si sono espressi in questo pomeriggio estivo a Milano, nel giardino pubblico intitolato a Giovanni Falcone e a Paolo Borsellino: una memoria che chiede giustizia unita ad una che invoca l’agire quotidiano di ciascuno.
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