Il Labirinto della Sacra Corona Unita
Labirinto, questo il nome dell’operazione condotta dai Carabinieri del ROS e del Comando Provinciale di Lecce, con il supporto del 6° Elinucleo di Bari e del Nucleo Carabinieri Cinofili di Modugno. Labirinto, come il Labirinto di Creta, quello costruito, secondo il mito, da Dedalo su ordine di Minosse per imprigionarvi il Minotauro. In questo complesso edificio dalla particolare struttura sono riusciti ad accedere gli uomini del Raggruppamento Operativo Speciale, coordinati e diretti dal Colonnello Gabriele Ventura. Il Labirinto della Sacra Corona Unita che riesce sempre a rigenerarsi pur se duramente colpita da indagini e processi. Una SCU che si presenta variegata, composta da clan che si dividono il territorio senza ricorrere a guerre intestine, almeno in linea di massima. Al centro dell’attività investigativa il clan Tornese, storico sodalizio della criminalità mafiosa salentina.
Sono in tutto 39 i soggetti indagati, a vario titolo, per associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico internazionale e spaccio di sostanze stupefacenti, detenzione e porto abusivo di armi, estorsione e danneggiamento, con l’aggravante del metodo mafioso.
L’ordinanza di custodia cautelare è stata emessa dal GIP del Tribunale di Lecce, Antonia Martalò, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia capeggiata dal Procuratore Capo Leonardo Leone De Castris.
Nel mirino degli inquirenti sono finiti due sodalizi criminali federati al clan Tornese di Monteroni: il gruppo di Vincenzo Rizzo, attivo nell’area di San Cesario, San Donato, Lequile e Gallipoli, e il gruppo di Saulle Politi egemone a Monteroni, Arnesano, San Pietro in Lama, Carmiano, Leverano, Porto Cesareo.
Le indagini, nate nel 2015 per contrastare lo storico clan dei Padovano di Gallipoli, hanno delineato l’ascesa criminale di Davide Quintana, socio della Totò Food di Quintana Davide e Padovano Angelo Snc (commercio e distribuzione di generi alimentari e bevande), legato da assidui rapporti di frequentazione con Angelo Padovano e Roberto Parlangeli nel periodo in cui gli stessi erano diventati reggenti del clan Padovano, con numerosi incontri che avvenivano proprio nel parcheggio della società Lu Rusciu te lu Mare, base logistica del sodalizio.
La complessa attività investigativa evidenziava la vicinanza di Quintana a Paola Padovano, sorella di Angelo Padovano, figlia del capoclan Salvatore Padovano, detto “Nino Bomba”, ucciso il 6 settembre 2008, e compagna di Roberto Parlangeli. Emergevano, inoltre, i contatti del Quintana con Tommaso Danese, e l’operatività sui territori storicamente controllati dai Tornese del clan di Vincenzo Rizzo e del clan riconducibile a Saulle Politi. Entrambi i sodalizi criminali avevano messo le mani sulle attività economiche del territorio, controllando il mercato degli stupefacenti e imponendo, attraverso atti intimidatori, il proprio dominio sulla popolazione.
Dalle intercettazioni emergeva che il Quintana avesse chiesto di poter godere di protezione mafiosa per continuare la gestione e lo sviluppo della sua attività.
Questa “protezione” sarebbe servita al Quintana “soprattutto per mediare gli interessi della criminalità organizzata nella spartizione dei profitti derivanti da tale importante fetta di mercato locale: il nuovo canale commerciale offerto dall’imprenditore gallipolino, infatti, aveva determinato il sorgere di alcuni problemi di concorrenza con altre imprese di settore operanti nella provincia di Lecce”, scrive il GIP nell’ordinanza. In particolare, gli attriti erano nati con una ditta vicina al clan mafioso di Saulle Politi.
Le indagini hanno appurato che i clan erano interessati al controllo delle attività commerciali. Infatti, il 30 aprile 2016, in vista della stagione estiva, Quintana proponeva a Vincenzo Rizzo di occuparsi della distribuzione di bevande e dell’attività di sicurezza nei locali pubblici di Gallipoli. Rizzo affermava che avrebbe incaricato della relativa gestione Claudio Diamante. Per quanto riguarda la sicurezza nei locali pubblici, il 24 aprile 2016, vi era stato un incontro tra Vincenzo Rizzo, Davide Quintana, Rodolfo Franco e altri soggetti che svolgevano questo tipo di attività, tra cui un pregiudicato di Gallipoli che avrebbe dovuto tenere i contatti con i buttafuori.
Dalle intercettazioni telefoniche emergeva il progetto di un atto intimidatorio nei confronti di un commercialista che aveva svolto attività di consulenza per le imprese di Davide Quintana. Il rapporto professionale tra i due si era interrotto bruscamente, come dimostrato da numerosi scambi di sms avvenuti nel settembre del 2015. Tommaso Danese convocava, quindi, un uomo di nazionalità francese presso il ristorante di Quintana per un “lavoro”. Il commercialista doveva essere punito per aver rilasciato dichiarazioni sull’attività intimidatoria effettuata da Roberto Parlangeli in merito all’assegnazione dei parcheggi pubblici tramite la società Lu Rusciu te lu Mare. L’uomo, in un primo momento accettava, tanto che riceveva l’arma da Danese, ma poi rifiutava avendo saputo che il professionista era affiliato al clan Padovano e restituiva l’arma nonostante il Quintana cercasse di tranquillizzarlo affermando che fosse lui affiliato al clan e non il commercialista che non godeva di nessuna legittimazione criminale che potesse garantirgli protezione.
Al centro delle indagini del ROS troviamo anche la figura di Saulle Politi che aveva ricevuto la dote di “completo”. L’uomo aveva anche beneficiato della pratica tipicamente mafiosa del cosiddetto “manto di carità”, inteso come percorso volto a perdonare l’affiliato che ha commesso errori nell’ambito del gruppo di appartenenza. Dalle conversazioni tra gli affiliati, infatti, emergeva che Angelo Tornese aveva concesso a Saulle Politi il “manto di carità” perché reo di aver rivelato l’identità dell’autore di un atto intimidatorio a suo danno. Il Politi, il 25 giugno del 2016, aveva sposato una cugina dei fratelli Angelo e Mario Tornese, matrimonio che sanciva un vincolo di sangue tra l’uomo e il clan della Sacra Corona Unita. Al ricevimento partecipavano anche esponenti della ‘ndrina calabrese dei Mammoliti a testimoniare una vicinanza con la ‘ndrangheta, rapporti che dalle indagini sembrano radicati nel tempo.
Dalla lettura dell’ordinanza si evince che i due gruppi criminali operavano in stretta sinergia tra loro nel settore del narcotraffico i cui proventi venivano in parte destinati al sostentamento dei detenuti. Veniva, tuttavia, documentata dagli investigatori, una fase di frizione per contrasti sorti in occasione dell’approvvigionamento di stupefacenti, come dimostrato dall’attentato dinamitardo dell’ottobre 2015 al bar di Alessandro Quarta e l’incendio dell’autovettura di Rodolfo Franco del giugno 2016.
Tra gli affiliati al gruppo “Politi”, figura di spicco è quella di Gabriele Tarantino, luogotenente di Saulle Politi, che aveva il compito di mantenere i contatti tra il capoclan e gli altri affiliati e, nello stesso tempo, di sovrintendere alla gestione delle attività illecite, prima fra tutte il traffico di stupefacenti. A questi si affianca Antonio De Carlo, elemento di raccordo con il clan Rizzo.
I clan erano molto attivi nelle estorsioni ai danni di attività commerciali nei territori di San Cesario di Lecce, San Donato e Lequile, perpetrate anche attraverso atti intimidatori realizzati con l’uso di armi da fuoco. Il 16 marzo 2016 venivano compiuti due attentati a Lequile: uno contro una macelleria e un altro contro un negozio di ottica.
Le indagini hanno documentato il riciclaggio di capitali sporchi in attività molto note nel tessuto economico locale.
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