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Attesa (e delusione) per Procura europea e squadre investigative comuni

Piero Innocenti il . Criminalità

europaGiusto quattro anni fa, nella seduta del 17 giugno 2014, la Commissione parlamentare antimafia, approvava, all’unanimità, la “Relazione sul semestre di presidenza italiana dell’unione Europea e sulla lotta alla criminalità mafiosa su base europea ed extraeuropea” (relatrice l’On. Laura Garavini). Un lavoro decisamente ben fatto, inviato il giorno seguente ai presidenti di Camera e Senato con la richiesta di inserire la relazione nel calendario dei lavori delle due Assemblee e l’auspicio – esplicito – di adottare quelle iniziative segnalate sul piano della cooperazione giudiziaria e di polizia a livello internazionale nel contrasto, in particolare, alla criminalità organizzata.

In questi anni, qualche iniziativa, tra quelle segnalate nelle conclusioni della relazione, è stata presa e tra queste quella sulla attuazione della normativa sulle squadre investigative comuni, punto sul quale l’Italia era in ritardo di ben quindici anni rispetto ad altri paesi europei. Così il 25 marzo del 2016 è entrato in vigore il decreto legislativo. n.34 (su G.U. n.58 del 10 marzo 2016), recante norme di attuazione della decisione quadro 2002/465/GAI del 13 giugno 2002 (che gli Stati membri avrebbero dovuto applicare entro il primo gennaio 2003), relativa alle squadre investigative comuni.

La norma conferisce al Procuratore della Repubblica, nelle ipotesi in cui si proceda per gravi delitti (tra cui quelli per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni) la facoltà di richiedere la costituzione di una o più squadre investigative comuni (fino ad oggi non si hanno notizie su iniziative prese in Italia) per compiere indagini complesse sul territorio di uno o più Stati membri. La richiesta va trasmessa all’autorità competente dello Stato membro (o degli Stati membri) in cui la squadra deve essere costituita. Successivamente, sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 19 gennaio 2017, C18, sulla scorta anche delle buone pratiche seguite dagli Stati membri, è stata pubblicata la risoluzione del Consiglio concernente la predisposizione di un modello uniforme di accordo per la costituzione di tali squadre.

Si tratta, dunque, di un primo importante passo in avanti nella direzione di strategie investigative comuni relative al medesimo caso che va ad incrementare “l’interscambio informativo e professionale (…) evita il rischio di sovrapposizione delle investigazioni e velocizza le tempistiche di sviluppo delle stesse”. D’altronde, è arcinoto, se si vuole avere ancora qualche possibilità di contrastare con più efficacia le mafie è necessaria una forte collaborazione oltre i confini nazionali perché la loro presenza è, da anni, consolidata in diversi Stati europei ed extraeuropei. Naturalmente per far ciò occorrono anche altri strumenti conoscitivi, normativi ed operativi, che da tempo vengono sollecitati. Tra questi la costituzione di un “pubblico ministero europeo”, che trova fondamento legale nell’art.86 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), introdotto dal Trattato di Lisbona. L’idea originaria, sulla scorta anche di alcune interessanti considerazioni espresse in un documento elaborato alcuni anni fa dall’Associazione nazionale magistrati italiana, era quella di attivare “un ufficio di Procura di dimensioni europee competente a svolgere indagini penali per individuare, indagare e rinviare a giudizio gli autori rientranti nella sua competenza”, che è quella riguardante i reati che ledono gli interessi finanziari dell’UE (art.86, comma 2, del TFUE).

Soltanto nell’ottobre 2017 il Consiglio dell’UE ha approvato il regolamento n.1939/2017 sulla istituzione dell’Ufficio della Procura Europea (acronimo EPPO, European Public Prosecutor Office) che, tuttavia, per poter esercitare i compiti di indagine e di azione penale dovrà aspettare, come stabilito nell’atto, ancora tre anni a decorrere dalla sua adozione (quindi, non prima dell’ottobre 2020) e sarà applicabile in venti Stati membri (Italia, Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca,Estonia, Germania, Grecia, Spagna, Finlandia, Francia,Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Portogallo, Romania, Slovenia e Slovacchia).

L’EPPO è nato fortemente “annacquato” perché è stata messo da parte il potere di indagare su tutto il territorio dell’Unione e di esercitare l’azione penale davanti al Tribunale di una giurisdizione nazionale prescelta limitandosi alla costituzione di un collegio meno “invasivo” di p.m. indicati dai governi nazionali con il compito di coordinamento delle attività di indagine di accusa condotte nei e dai singoli Stati. Insomma,ancora una volta le gelosie dei singoli Paesi hanno prevalso a scapito del settore giudiziario.

Con quale soddisfazione per la criminalità mafiosa in tutta l’ UE è facile immaginare.

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