Quelle ossessioni sull’immigrazione clandestina
Lo spettro dell’immigrazione via mare che continua ad incombere sul nostro paese, diventata una sorta di ossessione politica non solo da noi (il neoministro dell’interno Salvini, subito dopo il giuramento innanzi la Presidente della Repubblica, ha subito dichiarato che la sua priorità sarà l’immigrazione) ma anche in altri paesi dell’UE (vedi su tutti l’Ungheria, dove recentemente il governo ha minacciato chi difende i diritti umani dei migranti con il codice penale), dà lo spunto per riepilogare sinteticamente alcuni aspetti, poco conosciuti o ignorati, del quadro normativo nazionale e comunitario che disciplina la materia particolarmente complessa dell’immigrazione.
In Italia,lo ricordiamo, in questi primi cinque mesi del 2018 gli stranieri soccorsi/sbarcati sulle nostre coste sono stati poco meno di 14mila e, con l’attuale trend, a fine anno dovrebbero attestarsi intorno a 30mila arrivi, ossia quanti ne sono stati rilevati, mediamente negli ultimi venti anni ad eccezione del triennio 2014/2016 in cui si ebbero, annualmente, oltre centomila migranti sbarcati con il picco nel 2016 di ben 181.436. I valori più bassi si ebbero nel 2009 e 2010, rispettivamente con 9.573 e 4.406, periodo nel quale vennero adottati dal governo del tempo procedure sbrigative e illegittime nei controlli e respingimenti in mare dei migranti. Negli ultimi sette anni l’esito delle richieste di asilo è stato in molti casi negativo ed è passato dal 37,2% del 2010 – sul totale di 14.062 richieste esaminate – al 61,3% del 2016 – sul totale di 90.473 richieste (cfr. Rapporto sui centri di permanenza per il rimpatrio in Italia, elaborato dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, Senato della Repubblica, dicembre 2017).
La proposta di una riforma del Regolamento di Dublino (la terza da quando è entrato in vigore nel 1990) dovrebbe essere affrontata in occasione della prossima riunione di giugno in sede di Commissione europea. Ma sono tanti i nodi da affrontare e sciogliere nel tentativo di aumentare l’efficacia del piano europeo in tema di asilo e accoglienza e temo, che anche questa volta, si risolverà ben poco. Intanto sono molti, politici e cittadini comuni, che pensano di risolvere il problema con le “retate” di irregolari, propedeutiche alle espulsioni, spesso non eseguibili e con i “rimpatri” anche questi non di facile attuazione, considerati i costi molto alti, la necessità del “riconoscimento” dello straniero da parte dell’autorità consolare del paese di provenienza e i limiti precisi per l’uso coercitivo delle misure di rimpatrio fissati dalla direttiva 2008/115/CE. Secondo questa direttiva un Paese dell’UE deve emettere un provvedimento di rimpatrio nei confronti di un cittadino non UE il cui soggiorno sia irregolare. Qualora non sia stato concesso un periodo, dai sette ai trenta giorni, per la partenza volontaria o per mancato adempimento dell’obbligo di rimpatrio dello straniero entro il termine concesso per la partenza volontaria, uno Stato membro dell’UE deve ordinare il suo allontanamento, solo in ultima istanza, con misure coercitive proporzionate che non eccedano un uso ragionevole della forza. In casi specifici e qualora misure meno coercitive (cauzione, ritiro del passaporto, obbligo di dimora) risultino insufficienti, gli Stati membri possono trattenere (attività che deve essere quanto più breve possibile e non può superare i sei mesi) uno straniero sottoposto a procedura di rimpatrio quando sussiste il pericolo di fuga o ostacola la preparazione del rimpatrio. I rimpatri, poi, sono effettuati solo verso quei paesi con i quali esiste un accordo di riammissione e, finora, sono stati formalizzati accordi con l’Egitto, la Tunisia, la Nigeria ed il Marocco. Tutti particolari arcinoti da tempo.
Ci sono poi intese che vengono fatte dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza con i corrispondenti organismi di polizia dei paesi a forte vocazione migratoria. Si tratta di accordi di natura tecnico-operativa fatte, appunto, ad un livello infra-governativo e si limitano “a fluidificare procedure già contemplate dall’ordinamento” che prevedono ambiti di cooperazione tra le forze di polizia. Questa potrebbe essere la strada che i “tecnici” del Viminale potrebbero imboccare con maggiore intensità per soddisfare le aspettative del neo Ministro dell’Interno che vorrebbe, se le leggi lo consentissero, espellere e rimpatriare, in un’unica e gigantesca retata, tutti gli irregolari presenti in Italia.
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