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Non è il paese delle meraviglie

Rino Giacalone il . Sicilia

finanzaConfisca e sorveglianza speciale contro l’imprenditore Funaro, ecco le motivazioni dei giudici.

Imprenditori che allargano le braccia e dicono addirittura di avere vinto appalti a loro insaputa. Imprenditori che raccontano di essere stati ingiustamente colpiti dalla giustizia. Imprenditori che pare, in possesso di magiche sfere di cristallo, riuscivano ad ordinare materiali per cantieri ancora non aperti dicendosi sicuri che un determinato appalto l’avrebbero vinto. Imprenditori che hanno scritto che l’antimafia è peggio della mafia.

Sono istantanee tratte da diversi procedimenti giudiziari che hanno riguardato nel tempo le connessioni criminali nel trapanese tra mafia, imprese e politica. Indagini nella terra di Matteo Messina Denaro, il boss latitante oramai da 25 anni. Nell’ultimo dei pronunciamenti scritti dai giudici del Tribunale delle misure di prevenzione di Trapani, ossia il decreto di confisca di beni per 20 milioni all’imprenditore Pietro Funaro, al quale è stata anche applicata la sorveglianza speciale per due anni, i giudici hanno chiosato il tutto con una precisa affermazione. Funaro infatti dinanzi ai giudici durante il processo si è presentato stupito e basito; ha parlato della ineluttabilità di certi accadimenti come se avesse vissuto “nel paese delle meraviglie”, ma “Funaro – ha sottolineato il Tribunale – non operava nel paese delle meraviglie, ed era semmai un profondo conoscitore dei gangli in cui si muovevano le imprese edili nel trapanese”.

Il nome di Funaro è importante nella storia delle imprese edilizie siciliane, visto che è stato anche presidente provinciale e vice presidente regionale dell’Ance, il sindacato delle imprese edili di Confindustria. Ma l’attività edilizia, hanno ricostruito i giudici, è stata da lui messa a disposizione di Cosa nostra. Un’attività imprenditoriale come se fosse una sorta di facilitatore, cioè un imprenditore specializzato nel fornire “offerte di appoggio” nell’ambito di gare di appalto. Ossia favorendo l’aggiudicazione “pilotata” di appalti. E questa attività i giudici l’hanno riconosciuta esistere in particolare nel contesto di appalti aggiudicati nel messinese, e nel trapanese, in un periodo temporalmente individuato negli anni ’90.

Secondo i giudici, per gli appalti trapanesi Funaro ebbe precisa consapevolezza dello scenario mafioso, come per la gara dei lavori della galleria di Scindo Passo di Favignana, lavori che la sua impresa si aggiudicò: egli “aveva piena consapevolezza del cointeresse mafioso”. E questo per il rapporto stretto,individuato dai giudici attraverso i riscontri, che Funaro ha intrattenuto con l’imprenditore valdericino Tommaso “Masino” Coppola, il cosiddetto regista degli appalti pilotati, in particolare di quelle gare bandite dalla Provincia regionale. E ancora per i legami con un altro imprenditore, Vito Tarantolo, da lui agevolato anche mentre questi era indagato quale prestanome del capo mafia trapanese Vincenzo Virga. “Affermare – hanno scritto i giudici del Tribunale – che egli non fosse a conoscenza dei comitati di affari tra mafiosi, funzionari corrotti e imprenditoria, che governavano gli appalti nella provincia di Trapani, sarebbe una negazione del suo ruolo”. La proposta di sequestro prima, firmata dal questore di Trapani, e le odierne conclusioni dei giudici, hanno perfettamente fotografato, facendo riferimento anche a sentenze definitive, il quadro criminoso trapanese e gli intrecci tra mafia, politica e imprese, all’interno del quale per i giudici si muoveva abilmente, dove primeggiava “un complesso quadro di corruttela, riguardante il settore dei lavori pubblici della Provincia Regionale di Trapani, caratterizzato dalla sistematica turbativa delle relative gare di appalto, in conformità agli interessi di Cosa nostra”.

Facilitatore, dunque, per i giudici Funaro lo fu permettendo a Vito Tarantolo, sotto inchiesta per mafia,  di continuare a partecipare all’attività edilizia,secondo i giudici delle misure di prevenzione l’aiuto che Funaro ha garantito a Tarantolo rientrava “nell’alveo dell’appartenenza a Cosa nostra, in quanto tale sistema consentiva l’infiltrazione della mafia trapanese nel mondo degli appalti”: La Cogeta (impresa di Tarantolo, ndr) per il tramite dell’intervento della Funaro costruzioni, pur essendo stata estromessa per carenza di requisiti antimafia, ricevette la somma di 130 mila euro (appalto base aerea Birgi ndr)”.

Ma è impressionante il ruolo di lobbista svolto da Funaro. I periti nominati dal Tribunale hanno trovato su un suo pc una mail, un file nominato “gruppi onorevoli da sistemare”. Il file faceva parte di una mail inviata da altro imprenditore, Salvatore Candela, al Funaro. Il file conteneva l’elenco di tutti i deputati all’Ars, incarica nel luglio 2014, alcuni con a fianco il nome di un imprenditore o di qualcuno che aveva l’incarico di avvicinarli per convincerli a votare la legge regionale sugli appalti che fu approvata ma poi dichiarata incostituzionale nel 2016. I giudici hanno stigmatizzato senza poca tenerezza: “c’è una matrice fortemente lobbistica nel settore degli appalti, capace di mobilitare l’intera classe politica siciliana…sfaccettatura che fa parte di una manuale di comportamento non scritto…non è dato sapere cosa abbia fatto Funaro dopo avere ricevuto la mail ma una cosa è certa: se Candela indirizza la mail a Funaro è perché gli riconosce un potere o una capacità di infiltrazione o capacità a trovare una rappresentanza politica”. La circostanza all’interno del pronunciamento dai giudici non è stata posta a margine. Già nell’introduzione delle motivazioni infatti l’imprenditore Pietro Funaro è stato indicato come una persona protagonista delle pressioni lobbistiche all’interno del mondo degli appalti.

E nelle lobby locali si sa, Cosa nostra non è mai stata in disparte. Mafia sempre in compagnia anche di altri – noti – poteri occulti. Ma del caso Funaro si legge anche nell’ordinanza di custodia cautelare che ha riguardato l’ex numero di Confindustria Sicilia, Antonello Montante. Ancora prima che venisse eseguito il sequestro preventivo, sfociato adesso nella confisca, Montante aveva saputo dall’allora questore di Trapani, Carmine Esposito, dell’indagine su Funaro. Condotta grave, scrive il gip nisseno nell’ordinanza contro Montante, quella dell’ex questore di Trapani e ora a Bari, Carmine Esposito, fratello dell’ex numero uno dei servizi segreti Arturo, anche lui indagato nella stessa indagine con Montante: condotta non giustificabile in alcun modo per i ruoli istituzionali da quest’ultimo rivestiti in quel momento.

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