I minori, le droghe e la necessaria prevenzione
Negli ultimi venti anni le denunce nei confronti di minori per delitti collegati agli stupefacenti (art.73, traffico illecito e art. 74, associazione finalizzata al traffico) sono andate diminuendo passando dalle 1.753 del 1999 alle 1.036 del 2007 per poi stabilizzarsi, nell’ultimo decennio, sino al 2017 incluso, mediamente intorno alle 1.100 denunce annue. Tali segnalazioni all’auturità giusdiziaria, secondo quanto si rileva dalle relazioni annuali della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga (DCSA), hanno evidenziato generalmente incrementi costanti intorno ai 16, 17 anni e cioè man mano che i giovani si avvicinano alla maggiore età. I dati statistici non riportano fatti riguardanti minori dei 14 anni che, come noto, non sono imputabili secondo la nostra legge penale (art.97 c.p.) ma, non c’è dubbio che il dato di coloro che avevano compiuto appena i quattordici anni per i quali la imputabilità (cioè la capacità di intendere volere) va provata merita qualche riflessione.
Limitandoci agli ultimi cinque anni, dalle relazioni della DCSA emerge che nel 2012, sul totale di 1.263 minori denunciati, 61 avevano compito quattordici anni, 175 i quindici anni ed i rimanenti erano nella fascia di età tra i 16 e i 17 anni. L’anno seguente, su 1.263 minori coinvolti nello spaccio, 47 risultarono quattordicenni, 190 quindicenni, 403 sedicenni e 621 diciassettenni. Nel 2014 sono stati 42 i quattordicenni denunciati , diminuiti a 3 nel 2015 e risaliti a 40 nel 2016. Il dato provvisorio per il 2017 relativo ai quattordicenni non si discosterebbe granché da quello del 2016.
L’utilizzo di una “manovalanza” così giovane fa comodo ai più incalliti e spregiudicati spacciatori. Sul totale dei denunciati la componente straniera si è aggirata, mediamente, intorno al 20-22% ed è risultata composta, in particolare, da marocchini, tunisini, romeni, albanesi, egiziani, senegalesi. In genere, le droghe più trattate sono risultate quelle derivate dalla cannabis (marijuana e hashish) ma anche cocaina e, in misura minore, eroina e droghe sintetiche. Il Lazio, la Lombardia e la Toscana sono state, negli ultimi cinque anni, le regioni con il maggior numero di minori coinvolti nel traffico di stupefacenti mentre per quanto riguarda la distribuzione per “macroaree” il Nord Italia concentra sempre il maggior numero di minori segnalati (mediamente il 45%), seguita dal Sud Italia e Isole (mediamente oltre il 30%) e Centro Italia (25%).
Fenomeno che anche in questo scorcio di anno registra episodi inquietanti come a Crotone dove la polizia, nell’operazione antidroga “Sommelier” svolta alcuni giorni fa, ha arrestato alcune persone che utilizzavano minorenni per la consegna di cocaina ed altri come “sentinelle” per vigilare nel quartiere dello spaccio. O a Montecatini, dove uno studente di appena quindici anni spacciava “fumo” in pineta ad amici e compagni di scuola. Sulla questione droga ci sarebbe un gran bisogno di prevenzione e mi riferisco principalmente a quella che, in ambito sanitario, è designata come prevenzione primaria, l’agire cioè sulle cause originarie responsabili di danni alla salute umana, eliminandole o, perlomeno, riducendone il potenziale offensivo.
Certo non ci sono ricette taumaturgiche sulla questione droga e un eccessivo richiamo alla esigenza di interventi preventivi in questo ambito “rischia di apparire come un vocabolo carico di valenze scaramantiche alla cui evocazione è attribuita la facoltà di esorcizzare la paura e l’impotenza verso l’immagine demoniaca della droga”. In questo senso le interessanti riflessioni contenute in “Droga e prevenzione primaria” di Lorenzo Tartarotti nella Collana Psicologia sociale e clinica della devianza, 1986, Giuffré editore. Sul fronte della repressione continuano, senza sosta, le operazioni antidroga delle forze di polizia con oltre 27 tonnellate di stupefacenti ( in gran parte marijuana e hashish) sequestrati nel 2018 alla data del 15 maggio scorso. Una quantità sempre modesta rispetto al volume globale (stimato) di droghe immesse sul mercato e dal cui commercio si ricava quel contributo di “ricchezza sporca” che va ad incrementare il Pil nazionale.
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