Di stragi, di incontri, di ombre e di silenzi
Con quel dolore indescrivibile che l’accompagna da 26 anni, diventato anche coraggio e determinazione, ha affrontato gli assassini di suo padre, Paolo Borsellino, e della sua scorta incontrandoli in carcere, e li ha invitati a chiedere perdono per quello che hanno fatto, ha chiesto loro di riparare al male, al danno inflitto alle famiglie dei caduti. Soprattutto, ha chiesto loro di dire la verità. Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato ucciso dalla mafia a Palermo, in via D’Amelio, il 19 luglio 1992, ha incontrato i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, boss del quartiere palermitano di Brancaccio, condannati per quella e altre stragi di mafia, detenuti al 41 bis detenuti.
Davanti alla figlia del giudice, il primo, Giuseppe, nel carcere di Terni, si è dichiarato innocente; il secondo, Filippo, incontrato nel carcere de L’Aquila, è rimasto praticamente in silenzio. Al collega del quotidiano la Repubblica, Salvo Palazzolo, che ha raccontato degli incontri con i due boss, Fiammetta Borsellino ha scritto una lettera in cui spiega di aver sentito la necessità di percorrere anche così la strada della ricerca della verità. Per cercarla, un anno fa, aveva interrotto 25 anni di assoluto silenzio; aveva fatto appello a tutta la forza che il padre Paolo e la madre Agnese hanno trasmesso a lei e ai suoi fratelli, Manfredi e Lucia, e aveva chiesto che lo Stato, la Giustizia, cambiassero passo.
Fiammetta è ancora in attesa di un atto concreto. Il 20 aprile del 2017 è stata pronunciata la sentenza per il processo Borsellino quater, procedimento dal quale sono emersi squarci inquietanti sulla conduzione delle indagini e del primo processo sulla strage di via d’Amelio: una storia di false accuse, un pentito inventato, Vincenzo Scarantino, convinto a sottoscrivere valanghe di menzogne, “con le lusinghe e le torture”, come disse un anno fa proprio Fiammetta.
Una storia di depistaggi delle indagini, nuove ombre sul comportamento di appartenenti ad apparati dello Stato, tre poliziotti finiti sotto inchiesta. Lo scenario è sicuramente più ampio e ancora tutto da ricostruire. Ammesso che ci sia chi non vuole accontentarsi di ricostruzioni sommarie e di comodo, di quello che è accaduto negli anni delle stragi e subito dopo.
Il Pm del Borsellino quater Gabriele Paci, ascoltato dalla Commissione parlamentare antimafia, ha detto: “Il processo Borsellino quater fa affiorare il corto circuito del sistema giudiziario. Se noi magistrati, il mondo dell’informazione e chiunque ha girato intorno a questa vicenda pensa di glissare il problema e di non fare una seria riflessione su quello che è successo, secondo me sbaglia. Perché è successo qualcosa di gravissimo”. Il 19 luglio dello scorso è arrivato l’impegno solenne del Csm a valutare gli elementi che sarebbero emersi dalle motivazioni della sentenza del processo Borsellino quater. Motivazioni da valutare – ha stabilito il Consiglio Superiore della Magistratura – anche per decidere se avviare una verifica sull’operato dei magistrati che si occuparono delle testimonianze di Scarantino. Le motivazioni di quella sentenza, però, dopo più di un anno ancora non arrivano. Se non è un record ci si avvicina.
Cosa sta accadendo? Certo, ricostruire il quadro sconcertante di quanto è emerso dal processo Borsellino quater non è facile. Può uscirne un quadro tale da disturbare i sonni di quanti hanno deciso che la strage di via D’Amelio deve rimanere un buco nero.
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