Le mafie? Partecipano anche alla ricchezza nazionale
Abbiamo sentito nuovamente parlare, in questi ultimi giorni, di lieve incremento del Pil (0,3%) nel primo trimestre del 2018 (con una stima annuale tendenziale dell’1,4%) rispetto allo stesso periodo dell’anno passato.
Siccome nel calcolo della ricchezza nazionale ci rientrano anche le “ricchezze” prodotte da alcune delle più spregevoli attività criminali, provo ancora a riepilogare alcune considerazioni.
E ciò sebbene io sia ben consapevole della sordità e cecità che si continueranno a rilevare sul punto da parte dello stupefacente mondo parlamentare e della politica in generale, essendo tutti affaccendati in una campagna elettorale senza fine invece di pensare a far nascere un Governo allontanando il “pericolo” di nuove elezioni con lo scioglimento delle due Camere.
D’altronde, se nella Legislatura da poco iniziata ma subito precaria non si è lontanamente pensato ad avviare quella “profonda riflessione”, auspicata nella relazione conclusiva (febbraio 2018) della Commissione parlamentare Antimafia sul calcolo del Pil inclusivo di alcuni rilevanti proventi criminali, si può – forse – immaginare lo sconcerto di magistrati e forze di polizia che sottraggono alla criminalità organizzata beni e servizi destinati, in realtà ad essere commercializzati e “legalizzati” statisticamente.
Una decisione, questa, assunta non isolatamente dal nostro Paese, ma su input delle autorità europee di statistica che, sin dal 2014, “hanno consentito che l’economia criminale e quindi anche quella mafiosa”, facesse ingresso nel calcolo del Pil nazionale. Così, dal settembre del 2014, nella revisione curata dall’Istat, il Pil si è incrementato dell’un per cento circa grazie alle attività illegali del narcotraffico, della prostituzione e del contrabbando di sigarette.
Insomma, con una rapidità inusuale per le Istituzioni europee, è stata data la “possibilità” (non obbligo, dunque) agli istituti di statistica degli Stati membri, di includere le suddette attività criminali nel reddito nazionale lordo ma, si badi bene, solo se dette attività non sono riconducibili alla criminalità organizzata ma sono espressione di “rapporti volontari” come lo sono quelli che intercorrono tra chi spaccia droghe e chi le assume, tra chi si prostituisce e chi paga il “servizio”, tra chi vende tabacchi di contrabbando ed il cliente.
“Un discutibile approccio delle istituzioni europee” come sottolinea la Commissione Antimafia, fatto – aggiungerei – in modo superficiale (traffico e spaccio, dappertutto, sono controllate dalla criminalità organizzata italiana e straniera) per cercare – presumo – di mascherare un’operazione finalizzata a far fare bella figura ai bilanci europei.
Restando nel nostro Paese, dove la politica continua a parlare sempre di meno di lotta alle mafie riconducendo il tema della sicurezza in generale a quello dell’immigrazione clandestina, sapere che il nuovo Pil include settori produttivi rilevanti delle imprese mafiose non può certo rassicurare i cittadini onesti.
La Commissione, naturalmente, ha “rifiutato questo tipo di interpretazione” ricordando la “ricchezza negativa” prodotta dalle mafie “ostacolo ad una crescita pulita e trasparente, non solo economica ma anche civile dell’Italia, degli altri Stati membri dell’Unione e dei loro cittadini”. Dunque, l’impatto delle mafie sull’economia ha un segno sempre negativo e sarebbe ora che si tornasse alla normalità – dopo quattro anni con un Pil impregnato di ricchezza sporca – annullando questa “legalizzazione statistica” di proventi mafiosi che dovrebbe (avrebbe dovuto, sin dal 2014) far arrossire di vergogna politici e rappresentanti istituzionali rimasti silenziosi.
L’azione di repressione al narcotraffico, intanto, prosegue incessantemente da parte delle forze di polizia (qualcosa di più andrebbe fatto anche contro lo sfruttamento della prostituzione che, in alcune grandi città ha assunto dimensioni intollerabili) con ingenti sequestri di stupefacenti (oltre 25 le tonnellate già complessivamente intercettate nel corrente anno alla data del 4 maggio scorso, in gran parte marijuana ma anche 1,5ton di cocaina).
Continua, peraltro, con “impegno” la produzione made in Italy di marijuana come si può rilevare anche dai sequestri, in questi ultimissimi giorni, di vaste piantagioni (a Ragusa oltre sei tonnellate di piante scoperte dalla Polizia di Stato) coltivate insieme a pomodori e fave e, a Vittoria, sempre nel ragusano, con oltre seimila piante di cannabis mimetizzate tra ortaggi e verdure. Le indagini sono in corso, ma è difficile non pensare ad una supervisione della mafia siciliana in queste cose.
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