Bombe, dune e Banca di Credito Cooperativo
L’attività investigativa sulla Banca di Credito Cooperativo di Terra d’Otranto, in Salento, che si muove sul doppio binario dell’estorsione aggravata da metodo mafioso e del riciclaggio, svela ulteriori retroscena sugli affari 2.0 della quarta mafia.
Finanza e commistione con la mala politica, ma anche imprenditoria dalla facciata pulita.
Villaggi turistici, stabilimenti balneari in cui piazzare i propri prestanome e lavare fiumi di denaro, meglio se con l’avallo di colletti bianchi muniti di laurea e savoir faire, per non fare rumore. Dalle 7.65 ai carnet di assegni e agli appalti, la sacra corona unita pur disarticolata dallo Stato, risorge dalle sue ceneri e si reinventa.
L’indagine su Bcc s’interseca pericolosamente con quella sui tre attentati dinamitardi messi a segno nel 2012 a Porto Cesareo (Le), uno a maggio ai danni dell’ingegnere Dino Basile, all’epoca dei fatti impegnato anche politicamente nel coordinamento provinciale PdL, e due a giugno e novembre dello stesso anno, ai danni dell’allora sindaco – poi riconfermato –, Salvatore Albano. Mandanti e autori materiali di quelle esplosioni non hanno ancora un nome, ma all’epoca erano in ballo la definizione di Pug e Piano delle Coste, strumenti che avrebbero potuto cambiare i progetti già definiti della criminalità organizzata.
Ma cosa c’entrano bombe e Bcc?
All’apparenza nulla. Scavando nella vasta attività della Procura di Lecce su questo fronte però, tornano in ballo sia il clan Tornese, base operativa a Monteroni e tentacoli su una grossa porzione di Salento, sia l’attuale sindaco di Carmiano, Giancarlo Mazzotta, tra gli indagati eccellenti dell’affaire Bcc proprio come alcuni noti esponenti del gruppo criminale monteronese.
Le ombre dei clan, nel caso di specie, si addensano su un tratto di costa a nord di Porto Cesareo, località “Padula Fede”, parco regionale di grande pregio naturalistico, dove insistono alcuni terreni che furono un tempo di fatto proprietà dei Tornese pur essendo intestati ad una prestanome, Maria Bonacchi di Trepuzzi, libera dopo 20 anni di galera e madre di un tale detto “Mamo” (Massimo Piccinno) che gravita nello stesso ambiente malavitoso.
Su quei terreni, un paio di ettari, tra strada sterrata, e macchia mediterranea a due passi dal mare, si trova anche una splendida duna selvaggia, a seguito di misura di prevenzione patrimoniale sequestrata dalle autorità e assegnata quale patrimonio indisponibile, al Comune di Porto Cesareo, e da questo data in concessione nel 2010 a Libera di don Ciotti. Una vicenda nota, almeno fino a questo punto.
Com’è noto che i carabinieri stessero indagando, nel febbraio del 2014 – poco meno di due anni dopo gli attentati -, per estorsione e danneggiamento aggravato su Antonella Caracciolo, moglie del boss Mario Tornese all’epoca dei fatti reggente il clan, e su Fernando Antonio Olivieri (ritenuto emissario del clan, che si comportava come se potesse disporre dei terreni in argomento), già condannato per 416-bis e alla sbarra a Torino per usura aggravata dal metodo mafioso nel processo scaturito dall’operazione Aequanius, dei carabinieri del nucleo investigativo di Lecce, dove è coinvolto il direttore della filiale di un’altra Banca, la Banca popolare pugliese, di un paese vicino a Porto Cesareo, Guagnano. Ma questa è un’altra storia.
Il clan, secondo gli investigatori, voleva recuperare i terreni che gli erano appartenuti (non si sa come, ndr), acquisirne altri vicini, di proprietà degli eredi di un uomo di Manduria (Ta) tramite usucapione, esistendo un contratto preliminare di vendita tra gli stessi ed M.B (la prestanome del clan), e rivenderli al miglior offerente per realizzarvi stabilimenti e servizi. Olivieri – noto come Penna Bianca-, sembrava l’intermediario giusto.
Non solo: sui terreni oggetto di contesa pendeva anche un ricorso al TAR avverso la confisca, come a dire che in un modo o nell’altro la situazione doveva tornare allo status quo ante.
Tra gli interessati direttamente all’acquisto invece, c’era anche il sindaco di Carmiano (Le) Giancarlo Mazzotta, cugino del boss Mario Tornese, contattato da Olivieri, che riferiva ad Antonella Caracciolo di tutte le trattative in corso.
ALCUNI DIALOGHI DELLA TRATTATIVA
Riportiamo alcune intercettazioni telefoniche datate 2012, ritnute importanti dai carabinieri. Come alcune captazioni ambientali nella sala ascolto del carcere di Trani dove era detnuto il fratello della Caracciolo).
DIALOGO 1
Olivieri: Ascolta chiamami per cortesia quella…Antonio e digli che i documenti ce li ho della ca…del terreno e della casa…mi senti?
Caracciolo: si, ma non sto capendo chi devo chiamare
Olivieri: quello che siamo andati a fargli vedere il terreno
Caracciolo: ah!
Olivieri: digli che mi chiami a me, che ci mettiamo d’accordo, che venga a prenderseli, capito cosa voglio dire…
Caracciolo: Ho capito…va bene dai
DIALOGO 2
Olivieri: ciao, buogiorno.
Caracciolo: Buongiorno, che è successo all’altro telefono?
Olivieri: non ho il numero del PIN, sto chiamando Mamo con il telefono di xxxx e quello dorme. E mo’ io non so il numero del PIN.
Caracciolo: Ah, quindi è spento?
Olivieri: sì.
Caracciolo: Ho capito. Che fai?
Olivieri: Sto andando…sto andando adesso.
Caracciolo: dove?
Olivieri: …quattrocento euro…vado a prendere XXX e poi sto aspettando che chiami XXX.Però mi serve il numero del PIN, urgentemente! Prova a chiamare Mamo e vedi tu se a te ti risponde a re, e digli, guarda che quello ha bisogno del numero del PIN
Caracciolo: Senti, io ho avuto notizie poi ieri sera
Olivieri: Buone o no.
Caracciolo: mah! Non sono buone. E non capisco perché non te l’abbiano detto. Insomma…poi quando ti regoli che ci vogliamo vedere te le dico.
Secondo i carabinieri, il legame tra i dialoghi tra Caracciolo e Olivieri e il tema Riva degli Angeli”, è riscontrabile anche dalle conversazioni nel corso delle quali si fa riferimento a tale Mamo, figlio della prestanome cui era intestato il famoso terreno.
LA COINCIDENZA
Giancarlo Mazzotta era nello studio dell’ing. Basile, insieme al fratello Pierluigi Mazzotta anche lui imprenditore turistico, e ad un amico, proprio la notte in cui esplose la bomba, nel 2012. Una coincidenza non casuale, secondo gli investigatori
- Il messaggio era forse rivolto dalla sacra corona all’amministrazione comunale poco malleabile e pronta ad andare avanti con l’approvazione degli strumenti urbanistici? Se sì, perché colpire la sera in cui in quello studio c’erano anche i (parenti) Mazzotta?
- O forse il clan voleva redarguire gli imprenditori carmianesi, magari “rei” di aver avviato una trattativa autonomamente? Del resto, il 18 agosto del 2011, agli stessi Mazzotta era stata recapitata una testa di maiale mozzata che, in gergo criminale è un avvertimento che significa “vi state abbuffando da soli, come maiali” (gli autori di quel gesto al momento sono ignoti).
Due ipotesi che restano in piedi, come la stessa indagine, insieme ad altre che vedremo più avanti e che presentano tutte, in qualche modo, punti interrogativi, interessi confluenti e confliggenti, e tentativi di depistaggio, accertati e non.
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