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OCSE: le imposte contro la disuguaglianza

Rocco Artifoni il . Istituzioni

ocse disuguaglianzaL’aveva già detto Luigi Einaudi nel dopoguerra e adesso ce lo ricorda l’OCSE: le imposte più accettabili sono quelle di successione e le patrimoniali. Dato che sia Einaudi sia l’OCSE non possono essere considerati fautori dell’esproprio proletario o esponenti dello statalismo estremo, forse è il caso di riflettere seriamente su queste proposte, soprattutto in Italia.

In un duplice rapporto dedicato alla tassazione dei risparmi delle famiglie e al ruolo e alla struttura delle tasse sulla ricchezza, l’Ocse inserisce l’Italia tra i Paesi in cui sono aumentate maggiormente le disparità tra gli anni 80 e i giorni nostri: in particolare «dopo la crisi, sono proseguite le tendenze verso una maggiore disuguaglianza di ricchezza».

L’indice Gini, che misura tale disparità, è infatti passato dallo 0,29 allo 0,32 nella Penisola, che è quindi al decimo posto per disuguaglianze sui 35 Paesi Ocse.

In Italia il 20% più ricco della popolazione complessivamente possiede il 60% della ricchezza, mentre il 20% più povero ha soltanto lo 0,3 per cento. Il dato è davvero eclatante.

La disuguaglianza è dovuta più al patrimonio accumulato che al reddito. Infatti, il 10% dei più ricchi dispongono del 43% della ricchezza totale, mentre il 10% di chi ha un reddito più elevato rappresenta il 30% del totale dei redditi dichiarati.

Se consideriamo la distribuzione del reddito per età, in Italia i più abbienti sono gli over-60, mentre i più poveri sono i giovani tra i 20 e i 29enni. Come dire che l’Italia non è un Paese per giovani.

I dati mostrano come siano ancora le costruzioni l’elemento centrale del patrimonio: il 10% più ricco privilegia in Italia gli investimenti reali (83%) rispetto a quelli finanziari (17%). Tra i beni reali, le preferenze dei più agiati si suddividono tra prima casa (54% del patrimonio personale), seconda casa (26%), auto (2,8%) e attività lavorativa propria (15%).

Di conseguenza l’Ocse invita i Paesi industrializzati che hanno una aliquota unica su investimenti e risparmi privati a prendere in considerazione un certo grado di progressività in nome della crescente disuguaglianza e sottolinea che «ci potrebbe essere lo spazio per una tassa patrimoniale nei Paesi in cui la tassazione sul reddito da capitale è bassa e dove non ci sono tasse di successione». L’Italia è sicuramente tra questi, visto che l’imposta sulle rendite e sul capitale è proporzionale (26%), mentre quella sulle successioni ereditarie è quasi inesistente (dal 4% all’8% con esenzione fino ad un milione di euro).

L’Italia è nota per essere considerata un Paese di risparmiatori. L’OCSE rileva che «la distribuzione delle varie forme di risparmio evidenzia come il sistema fiscale spesso favorisca il risparmio delle famiglie che godono di una migliore situazione finanziaria». A conferma che i ricchi diventano sempre più facilmente ricchi.

Scrive ancora l’Ocse, «oltre alle considerazioni fiscali, potrebbe esserci anche una maggiore giustificazione per un’imposta patrimoniale netta in un Paese che mostra alti livelli di disuguaglianza della ricchezza come un modo per ridurre i divari a un ritmo più veloce».

A ben vedere, l’OCSE fornisce la risposta più logica  alla domanda di fondo: di fronte alla crescente disuguaglianza è necessario tassare di più chi possiede di più.

L’art. 53 della Costituzione era stato scritto con questa prospettiva: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività». Di fatto, soprattutto negli ultimi decenni non è stato rispettato e oggi rischia di essere completamente tradito: basti citare la proposta della flat tax.

Ma come ci insegna la scuola di Barbiana: «Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali».

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