Armi spuntate contro la “masso-mafia”
Tra i documenti più importanti redatti, nella legislatura da poco conclusa, dalla Commissione parlamentare di inchiesta antimafia presieduta da Rosy Bindi, vi è sicuramente la relazione sulle infiltrazioni di Cosa nostra e della ‘ndrangheta nella massoneria in Sicilia e Calabria, approvata all’unanimità, come la relazione conclusiva, il 21 dicembre 2017. Era il periodo della vigilia delle festività natalizie e della fase preparatoria della lunga campagna elettorale e, quindi, l’attenzione mediatica e della collettività in generale è stata davvero modesta per un fenomeno così pericoloso e inquietante come quello delle infiltrazioni della mafia nelle associazioni di tipo massonico. Per chi ritenesse troppo impegnativa la lettura e lo studio delle 85 pagine di questa relazione, si può optare per la sintesi, nove pagine in tutto su “mafia e massoneria”, contenuta nella corposa relazione conclusiva (665 pagine inclusi gli allegati).
Un lavoro che ha incontrato non poche difficoltà, intanto, per l’atteggiamento dei gran maestri delle quattro obbedienze individuate a campione (il Grande Oriente d’Italia-palazzo Giustiniani, la Gran Loggia Regolare d’Italia, la Gran Loggia d’Italia degli antichi liberi accettati muratori e la Serenissima Gran Loggia d’Italia-ordine generale degli antichi liberi accettati muratori) che “lungi dall’apparire trasparente e collaborativo nel perseguimento dell’obiettivo che si riteneva dovesse essere comune, di impedire l’inquinamento mafioso di lecite e storiche associazioni private, si rivelava invece di netta chiusura e diffidenza verso l’istituzione”. Fatto, questo, che ha comportato per la Commissione il ricorso inconsueto agli strumenti giudiziari della perquisizione e del sequestro che la legge le attribuisce.
Viene sottolineato più volte come l’indagine abbia riguardato non la massoneria ufficiale come fenomeno associativo (in quanto tale tutelato dall’art. 18 della nostra Costituzione), ma la mafia e le sue infiltrazioni nelle associazioni di tipo massonico (in Italia, oltre a quelle “regolari” ci sarebbero circa 150-200 associazioni che si definiscono a carattere lato sensu massonico).
L’interesse di Cosa nostra e della ‘ndrangheta verso la massoneria è antico e costante ma poco si sapeva di “una sorta di tolleranza” e “preoccupanti dolosi contatti con la mafia” da parte dell’associazione massonica. D’altronde, anche nei casi in cui i gran maestri hanno sciolto le logge per il rischio di presenze mafiose tra i propri ranghi, ciò è avvenuto nel silenzio assoluto come “si confà ad un’associazione connotata (..) da uno spiccato regime di segretezza”. Lo stesso regime vigente nelle associazioni mafiose.
Ma tornando ad alcune delle evidenze emerse dall’inchiesta della Commissione parlamentare, non può non destare forte inquietudine la presenza, nelle quattro obbedienze massoniche innanzi indicate (soprattutto nel Gran Oriente d’Italia, la maggiore obbedienza del paese, che si è riunita a Rimini dal 6 all’8 aprile), di “..193 soggetti aventi evidenze giudiziarie per fatti di mafia..” selezionati dalla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (DNAA) e coinvolti in oltre 350 procedimenti giudiziari. Ebbene, anche se per gran parte delle predette persone (numerosi i dipendenti pubblici) i relativi procedimenti per il delitto ex art.416bis del c.p. o altri delitti aggravati dal metodo mafioso si sono conclusi con decreto di archiviazione per i più svariati motivi (assoluzione, prescrizione, sentenza di proscioglimento per la morte del reo), per sei di loro vi sono state sentenze definitive di condanna per il 416bis, mentre per altre venticinque persone i processi erano ancora pendenti.
Si tratta, come giustamente mette in risalto la Commissione, di un “fatto rilevante, ai fini della presente inchiesta parlamentare, che un consistente numero di iscritti è stato coinvolto in procedimenti per gravi delitti”. Resta da capire quali siano stati i “rigorosi” controlli interni che sarebbero stati effettuati al momento dell’iscrizione alle logge, secondo quanto affermato alla Commissione dai gran maestri. Si è trattato, oltretutto, di accertamenti svolti solo su nominativi di iscritti che è stato possibile identificare compiutamente in un contesto associativo lecito, ma che non si è mai dichiarato vittima di interessi criminali e consentito o facilitato “anche soltanto inconsapevolmente, la propria strumentalizzazione”.
Così, mentre aumentano gli iscritti alle logge massoniche calabresi e siciliane, l’auspicio della Commissione è di una previsione di legge che chiarisca definitivamente “tipizzandone la caratteristiche fondamentali, che – ai sensi dell’art 18 comma 2 della Costituzione -le associazioni sostanzialmente segrete, anche quando perseguano fini leciti, sono vietate in quanto tali, poiché pericolose per la realizzazione dei principi della democrazia”. Auspicio che, temo, resterà solo tale per una “masso-mafia” (espressione del giudice Giovanni Turone che indagò, alcuni decenni fa, sulla loggia deviata P2) divenuta negli anni troppo potente.
I neo-parlamentari leggano l’ultima relazione dell’Antimafia
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