Lavorare per campare?
Alzi la mano chi, nella recente campagna elettorale, ha sentito parlare qualcuno dei leader candidati a Palazzo Chigi o un deputato in pectore di “sicurezza sul lavoro”. Eppure si tratta di questione seria e dolorosa.
Almeno per 1.175 famiglie che nel corso del 2017 hanno atteso inutilmente un loro congiunto al ritorno a casa. Dopo dieci anni, il numero dei morti sul lavoro è aumentato. Dell’1,1%. Si dice che si lavora “pe’ campà”. Ma qui di lavoro si muore. Più di tre morti al giorno sul lavoro l’anno scorso, che si aggiungono ai 178 dall’inizio dell’anno. E, secondo gli esperti, le cause sono molteplici: precariato e stagionalità, mancati investimenti nella formazione, macchinari obsoleti, più attenzione ai profitti che alle condizioni di lavoro…
Succede così che un’esplosione del serbatoio di solvente a Livorno uccide due operai il 28 marzo scorso, che il giorno di Pasqua ne muoiono altri due in provincia di Bergamo per l’esplosione di un serbatoio di mangime e il 4 aprile altri due operai muoiono a Crotone schiacciati da un muro che stavano mettendo in sicurezza.
Ma il lavoro deve portare vita e non morte!
Si tratta di assumere provvedimenti urgenti per riformare, aggiornare il testo unico sulla sicurezza sul lavoro del 2008 e non c’è bisogno nemmeno del governo perché le leggi le scrivono e le approvano i parlamenti. Chi ha orecchie per intendere e cuore per comprendere… faccia qualcosa.
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