Limiti e incongruenze del Rosatellum
“Chi è intellettualmente onesto deve ammettere che questa situazione di ingovernabilità è figlia del voto referendario”: così Matteo Renzi nella conferenza stampa di lunedì 5 marzo 2018, nella quale ha preannunciato le sue dimissioni da segretario del Partito Democratico. Il voto referendario a cui ha fatto riferimento Matteo Renzi è ovviamente quello del 4 dicembre 2016, che ha bocciato il progetto di revisione costituzionale fortemente voluto dal PD (nonostante fosse in palese contrasto con la Carta dei valori fondativa del partito). In realtà, a determinare l’attuale “situazione di ingovernabilità” non è stata la mancata riforma della Costituzione, ma l’attuale legge elettorale (il Rosatellum), che porta il nome di Ettore Rosato, capogruppo alla Camera del Partito Democratico. Infatti, anche se fosse stata approvata la riforma costituzionale, nemmeno con l’Italicum (la legge elettorale sulla quale il Governo Renzi chiese il voto di fiducia) ci sarebbe stata una maggioranza parlamentare, poiché il premio di governabilità sarebbe scattato soltanto se un partito o una coalizione avesse superato la soglia del 40% dei consensi (e nelle elezioni del 4 marzo non è accaduto). In origine l’Italicum prevedeva che, se nessun partito o coalizione avesse raggiunto il 40% dei voti, si sarebbe svolto un ballottaggio per l’assegnazione del premio di maggioranza, ma nel gennaio del 2017 la Corte Costituzionale ha annullato quel tipo di ballottaggio senza soglie minime per accedervi, giudicandolo incostituzionale.
Che il Rosatellum sia una legge elettorale irragionevole è già stato ampiamente spiegato. Ma ci sono situazioni reali che dimostrano come le critiche non fossero riferite soltanto a casi estremi o teorici. La legge elettorale stabilisce che nei collegi proporzionali si possano indicare al massimo quattro candidati benché gli eletti di ogni collegio siano di norma otto. Quindi, se una lista andasse oltre il 50% dei voti in un collegio potrebbe ottenere più seggi dei candidati indicati nella scheda. Il caso a prima vista sembra improbabile, se non fosse che il Rosatellum preveda anche che ogni candidato possa presentarsi contemporaneamente in un collegio maggioritario e fino a cinque collegi proporzionali. In caso di vittoria nel collegio uninominale e nel proporzionale, scatta il seggio nel primo. Il che significa sottrarre dal computo proporzionale questi eletti con pluricandidature. Così in Sicilia è davvero accaduto in alcuni collegi che i seggi attribuiti al Movimento 5 Stelle siano maggiori dei candidati presenti nelle liste del proporzionale. Per tappare i buchi nelle liste in un determinato collegio, si dovrà attingere ai non eletti in altri collegi o addirittura in altre circoscrizioni elettorali. Al Senato c’è addirittura il rischio che un seggio spettante al Movimento 5 Stelle in Sicilia non venga assegnato, poiché si è esaurita la lista dei candidati e non è possibile reclutarli da altre circoscrizioni elettorali, poiché la Costituzione prevede che i senatori siano eletti su base regionale (e la circoscrizione coincide con la Regione).
Ancora più assurda si è dimostrata la regola del Rosatellum che prevede – in caso di elezione in più collegi proporzionali – che il seggio scatti automaticamente laddove il partito abbia preso meno voti. Risultato: Matteo Salvini è stato eletto come deputato della Calabria, dove la Lega ha conseguito meno del 6% dei voti. Obiettivamente è difficile credere che Salvini sia davvero rappresentativo di quella regione d’Italia.
Di fronte a questo scenario, sorgono spontanee alcune domande. Quelli che scrivono e approvano le leggi elettorali sanno che cosa fanno? Per scrivere norme così fondamentali per la democrazia non sarebbe il caso di dimostrare preventivamente un minimo di competenza? Visti i risultati e gli effetti della legge elettorale, gli autori e i sostenitori del Rosatellum non dovrebbero vergognarsi e dimettersi per manifesta incapacità?
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