La camorra e quella “fame di sicurezza” della gente ignorata dalla politica
C’è un gran bisogno di sicurezza nel nostro paese e non essersene accorti, averlo sottovalutato o – peggio ancora – ignorato, è costato caro a tutti quei partiti e minipartiti che anche per questo hanno perduto consenso elettorale nelle recentissime elezioni politiche. Non ci voleva molto, in realtà, a capire che era una buona fetta della popolazione ad avere “fame di sicurezza”, reclamandola, invocandola quasi ogni giorno, anche su molti quotidiani nazionali e locali.
Sicurezza non solo e non tanto collegata alla immigrazione clandestina e a fenomeni di devianza connessi, ma, soprattutto, alla presenza asfissiante della criminalità comune e di quella mafiosa in quasi tutte le regioni e ad una corruzione diventata sempre più intollerabile e mortificante. Un quadro che era emerso anche dal recente sondaggio di Eurispes 2018. Una voglia di sicurezza cresciuta di più in alcune regioni del Sud, dove bande e gruppi criminali organizzati sono divenuti più aggressivi e violenti e dove la gente si è, almeno in parte, stancata di una classe politica sorda, a volte collusa con i criminali.
È, per esempio, il caso della camorra a Napoli, città che, secondo la recente relazione di fine legislatura, presentata a febbraio 2018 dalla Commissione parlamentare antimafia, “ha il primato per omicidi ogni 100mila abitanti e il record assoluto nel numero di clan e di affiliati”. Una camorra che, sottolinea ancora la Commissione, non è un’unica organizzazione né la “parola (…) indica una élite criminale che si differenzia dalla criminalità comune”. È, quella napoletana, una criminalità “frammentata”, in un contesto territoriale caratterizzato da “ampie, diffuse e stabili forme di illegalità”. È una criminalità “catalizzatrice”, perché assorbe “tutte le attività criminali-illegali e di parte dell’economia informale-sommersa che si sviluppa nel tessuto economico della città”. È una criminalità “trafficante”, perché è straordinariamente grande “la massa di consumatori disposti a comprare beni o merci contraffatte di grandi marche, venduti a prezzi più convenienti (…) o perché mette a disposizione beni il cui consumo è proibito”, come per esempio gli stupefacenti.
È una criminalità di “massa”, cresciuta anno dopo anno, spesso nella disattenzione istituzionale locale e nazionale, se si pensa che i 12 gruppi criminali censiti nel 1983 sono saliti a 108, con circa 5mila aderenti, nel 1992 (dal rapporto annuale al Parlamento del Ministro dell’Interno, maggio 1993) e lievitati a ben 180 clan nel 2015, come viene ricordato nella relazione della Commissione Antimafia. È una criminalità senza gerarchie, sostanzialmente “anarchica”, a “struttura pulviscolare”, come la definì Luciano Violante nella relazione della Commissione Antimafia da lui presieduta nel 1993, costituita cioè “da un numero di bande che si compongono e scompongono con grande facilità, a volte pacificamente, altre volte con scontri sanguinosi”, così come dimostrano i dati che parlano di 45 omicidi di stampo mafioso a Napoli e provincia, nel 2015, saliti a 65 nel 2016 e a 22 nel 2017.
Certo le forze di polizia non stanno con le mani in mano e anche le due operazioni di questo mese ad opera della DIA, cioè il sequestro a Formia di beni per 22milioni di euro ad un imprenditore vicino al clan dei Casalesi, e della polizia di stato a Napoli, ovvero l’arresto, per associazione mafiosa ed estorsione, di 18 affiliati al clan Vastarella, sono il segno che l’attività di contrasto non flette e si possono conseguire risultati ancor più soddisfacenti con la collaborazione della gente, registrata in quest’ultima operazione.
Quasi venticinque anni fa, precisamente agli inizi del 1994, il vescovo di Acerra, monsignor Riboldi, in una intervista, aveva parlato di alcune migliaia di camorristi pronti a trattare le condizioni per arrendersi e consegnarsi allo Stato. Sembrava iniziato un processo di progressivo indebolimento della camorra, dovuto anche alla perdita di alcuni tradizionali referenti politici. In realtà non ci fu nessuna resa da parte dei camorristi che hanno continuato ad esercitare il potere mafioso e, nel solco di una tradizione che li vede del tutto indifferenti alle ideologie politiche, hanno continuato “a sostenere chiunque possa contraccambiare offrendo significativi vantaggi”. Sul piano dell’ordine pubblico resta il serissimo fenomeno del “gangsterismo giovanile”, legato allo spaccio di droghe e ad altre forme delinquenziali, derivanti dal disagio sociale che si continua a vivere in una città per altri aspetti attraente, che vuole essere liberata dal potere mafioso.
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