Migrazioni, un bilancio delle operazioni in mare
L’esasperato e rissoso clima di campagna elettorale che si sta vivendo in Italia in queste settimane ha toccato anche il tema dell’immigrazione, sempre particolarmente a cuore di partiti e movimenti che fanno di tutto per alimentare le paure dei cittadini approfittando anche di notizie non verificate. È il caso, per esempio, del presunto arrivo sulle nostre coste nei mesi passati segnalato dall’Interpol, di un cinquantina di foreign fighters, notizia prontamente smentita dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, che ha replicato citando i diversi casi di provvedimenti di espulsione adottati per motivi di sicurezza nazionale nel corso degli ultimi tre anni (oltre 150 stranieri).
L’altra notizia, anche questa allarmante, è stata quella delle persone soccorse/sbarcate sulle nostre coste nel 2018 che, alla data del 31 gennaio, son state 4.200 e cioè circa lo stesso numero del corrispondente periodo dell’anno prima. Se è vero che le varie iniziative prese dal Ministro dell’interno Marco Minniti nel corso del 2017 per arginare il flusso migratorio, in particolare proveniente dalla Libia, hanno consentito un calo apprezzabile degli arrivi in Italia e, quindi, in UE, non va dimenticato che molto è dipeso dagli “accordi” conseguenti agli incontri tenutisi anche a Roma con Fāyez al-Sarrāj, il capo del governo riconosciuto di Tripoli, e i vari capi tribù che di fatto controllano gran parte del territorio libico e le migrazioni (traendone profitti). Accordi che prevedevano consistenti forniture di mezzi per controllare le coste libiche, di fondi destinati al potenziamento dei controlli nel sud della Libia al confine con Ciad e Niger, di apertura di sedi dell’UNCHR e OIM, per garantire condizioni dignitose ai migranti ivi bloccati (che si trovano ancora in condizioni disumane e insopportabili). Queste attività procedono in realtà a rilento e, come capitava nel periodo del colonnello Gheddafi, quando le autorità del nostro paese ritardavano o “dimenticavano” gli impegni assunti in precedenti accordi, venivano “aperti i rubinetti” sulle coste libiche e si lasciavano partire decine di gommoni ed altre imbarcazioni cariche di migranti.
La terza notizia è dell’inizio del mese ed è relativa ad un accordo che è stato stipulato a Roma tra la Direzione Centrale per l’Immigrazione e la Polizia delle Frontiere (Dipartimento della Pubblica Sicurezza-Ministero dell’Interno) e Frontex (l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne, istituita con Regolamento del Consiglio europeo n.2007/2004) che prevede il termine dell’operazione Triton – che doveva concludersi il 31 dicembre 2018 – e l’avvio di Themis, operazione sempre europea ma con meno unità aeronavali e con il conseguente arretramento dell’area operativa marina a 24 miglia dalle nostre coste. Alcuni organi di informazione hanno così parlato di “Migranti non solo in Italia-Gli sbarchi nel porto più vicino” (Corriere della Sera, 1 febbraio) e “Frontex, via l’obbligo di portare i migranti in Italia” (Il Sole 24Ore, 1 febbraio), a sottolineare il rilievo dell’accordo – dovrebbe essere operativo a breve – ed il coinvolgimento di Malta (che ha subito espresso contrarietà sul punto) paese che è sempre stato refrattario ad accogliere migranti, anche quando le attività di soccorso avvenivano nelle loro acque territoriali.
In realtà, le attività in alto mare sono disciplinate dalla Convenzione dell’ONU sul diritto del mare nonché dalla Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare (SOLAS) e dalla Convenzione internazionale sulla ricerca e salvataggio in mare (SAR). Tali strumenti prevedono già il dovere di prestare assistenza e soccorso alle persone in difficoltà in mare obbligando il capitano di una nave a portare le persone soccorse in un “luogo sicuro“. L’UE, in relazione proprio alle questioni controverse su dove sbarcare le persone soccorse o intercettate in mare, ha, da alcuni anni, adottato per Frontex alcuni orientamenti (si veda la Decisione 2010/252/UE del Consiglio, del 26 aprile 2010), orientamenti che, seppur non vincolanti, sono considerati regole essenziali.
La realtà, alla fine, è che in questo perdurante periodo di fumosa “strategia” dell’UE sul controllo delle migrazioni provenienti dai paesi africani, di fallimentari misure provvisorie adottate sin dal settembre 2015 ( la c.d. relocation e resettlement) a beneficio dell’Italia e della Grecia, di trasferimento in altri paesi membri dell’UE di diverse migliaia di richiedenti asilo, si sta ancora aspettando il parto, da parte del Parlamento europeo di un regolamento sul “Sistema europeo comune di asilo” (CEAS nell’acronimo inglese). L’adozione di un regolamento, sarebbe un passo importante per le migrazioni ed i processi di integrazione (se si vogliono realmente) in quanto, contrariamente alla direttiva, è un atto giuridico di portata generale e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.
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