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L’attività delittuosa degli imputati di Aemilia non si è mai fermata

Sofia Nardacchione il . Emilia-Romagna

processo_aemilia_reggio_emilia_4Arriva una svolta nell’aula bunker del Processo Aemilia, alla fine dell’udienza dell’8 febbraio: le attività degli imputati del maxiprocesso non si sarebbe mai fermata. Non si sarebbe fermata quel 28 gennaio del 2015 con la maxioperazione che ha portato all’arresto di 117 persone, non si sarebbe fermata con la nuova operazione di luglio 2015 né con l’inizio del processo a Reggio Emilia il 23 marzo 2016. Lo ha affermato il Pubblico Ministero Beatrice Ronchi, che ha depositato dichiarazioni e precisazioni riguardo al capo di imputazione più grave: quello dell’associazione mafiosa. Ai 189 capi d’imputazione complessivi se ne aggiungono quindi altri, che riguardano in particolare il settore edile: riciclaggio, ricettazioni, reimpiego di denaro di provenienza delittuosa in attività illecite.
Ma non solo: dal carcere sarebbero arrivate minacce e intimidazioni a coloro che hanno testimoniato. E, inoltre, gli imputati avrebbero cercato di inquinare le prove.

Così, per tutti gli imputati accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso, con l’eccezione dei due collaboratori di giustizia Antonio Valerio e Salvatore Muto, il termine dei fatti contestati all’interno del processo non si ferma al 28 gennaio 2015, ma arriva all’8 febbraio 2018. E forse proprio grazie alle dichiarazioni dei collaboratori si è arrivati a questo punto.

Le nuove accuse riguardano in particolare Gianluigi Sarcone – il cui fratello, Carmine, è stato arrestato poche settimana fa, il 23 gennaio, accusato di essere il reggente della cosca emiliana. Gianluigi Sarcone avrebbe assunto dall’interno del carcere un ruolo di direzione e organizzazione, “mettendosi a disposizione per fornire appoggio, assistenza e aiuto ai detenuti”. Già a novembre il Gip aveva imposto il divieto di comunicazione tra Sarcone e Bolognino, che aveva contestato in aula il divieto dicendo che «di fatto in carcere a Reggio Emilia comporta l’isolamento».

 Varia ancora una volta la situazione del più grande processo di ‘ndrangheta mai svoltosi nel Nord Italia. E non è una svolta da poco: significa che la ‘ndrangheta emiliana non si è mai fermata, che è ancora forte e può contare sull’appoggio di tanti.

E, ancora una volta, sono gli imputati che hanno deciso di collaborare con la giustizia ad essere uno dei punti più significativi di questo processo, che non ha precedenti né eguali: nei due processi collegati, Kyterion in Calabria e Pesci in Lombardia, non ci sono collaboratori. Secondo Enza Rando, vicepresidente nazionale e avvocato di Libera, ci potrebbe essere un collegamento con la risposta della società civile: “In Aemilia – afferma  si sono costituite parte civile 28 realtà e ci sono tre imputati che sono diventati collaboratori di giustizia durante il corso del processo, nel processo Pesci solo Libera è parte civile e nel processo Kyterion siamo costituiti noi e la Regione ma non ci sono collaboratori. Io credo che il collegamento ci sia e dimostra che se la cittadinanza reagisce qualcosa si muove”.

Quello della scorsa settimana è un colpo di scena che ‘blocca’ il processo per un mese: le udienze riprenderanno il 6 marzo, per permettere ad avvocati e periti di valutare i capi di imputazione. La requisitoria, quindi, non inizierà prima di marzo, e solo allora si capirà se i nuovi capi di imputazione verranno trattati in continuità con quelli precedenti o porteranno all’apertura di un nuovo processo.

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