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Intervista a Maria Grazia Mazzola

Antonella Napoli il . Mafie

Aggredita a Bari giornalista Rai“Il mio dovere e sollevare domande. E fino a quando avrò la forza per farlo continuerò a porle”.
Nella voce di Maria Grazia Mazzola non c’è un’incrinatura, nonostante lo stordimento per le conseguenze dell’aggressione subita ieri pomeriggio a Bari: quei colpi al viso che la costringono a portare un collare.
La sua telefonata arriva in mattinata, in risposta alle chiamate e agli sms della sera precedente per sapere come stava e per esprimerle la mia e la solidarietà di tutti i colleghi di Articolo 21.
Le prime parole sono di rassicurazione.

Quali conseguenze hai riportato dall’aggressione che hai subito? 
“Dovrò portare il collare per un po’ e stare attenta ai movimenti. Sono piena di dolori. Ho riportato un trauma. Devo consultare un ortopedico. L’episodio di cui sono stata vittima non resterà impunito. Monica Leara, la moglie del boss 45enne Lorenzo Caldarola, affiliato al clan Strisciuglio, che ieri pomeriggio mi ha presa a schiaffi per impedirmi di intervistarla risponderà delle sue azioni in Tribunale”.
Eppure non è questo ciò che preme di più a Maria Grazia. Da quanto accaduto a Bari, l’inviata del Tg1 spera scaturisca qualcosa in più della giusta denuncia dell’ennesimo tentativo di impedire a una giornalista libera di porre domande.

Cosa ti aspetti che accada? 

«Dove c’è stata una ferita facciamo crescere un albero. Questo è ciò che ho chiesto al sindaco De Caro quando ieri mi ha chiamata. I quartieri di San Paolo e della Libertà vanno risanati. Ma senza militarizzare”.

La tua inchiesta era mirata proprio a raccontare ciò che avviene in queste realtà.
“Sì. Ero a Bari per un’inchiesta sulle baby gang e sull’educazione dei minori nell’ambito del progetto di Libera fortemente voluto da don Ciotti, “Liberi di scegliere”,  che seguo da anni  per il Tg1. L’intervista riguardava uno dei due figli della donna e di Caldarola, un ragazzo poco più che 18enne fermato con un considerevole quantitativo di droga ma lasciato libero perché considerata per uso personale. Io ho rispetto sacrale per la magistratura ma mi chiedo come ha fatto il giudice a lasciare in mano a un ragazzo con quella famiglia alle spalle Tutti quello stupefacente. Erano molte dosi possibili”.

Perché avevi deciso di intervistare Caldarola?
“Ero andata da questa famiglia proprio per questi due figli, uno condannato per omicidio e l’altro con un procedimento penale per rapina e violenza sessuale su minorenne. Quando ho provato a chiedere alla madre di parlare dei figli lei mi ha colpita. Eppure io avevo provato ad aprire un dialogo con molto garbo ed ero pronta ad andarmene ma lei mi ha aggredita”.

Ci torneresti?

“Certo. Ho fatto il mio dovere di cronista, non sono stata insistente, perché sono sempre rispettosa di tutti. Io devo portare il telespettatore in questi luoghi” rivendica con forza”.
La sua vocazione, tiene a sottolineare Maria Grazia, è rompere il silenzio su queste vicende. Accendere le luci intorno al buio di queste periferie, come da anni proviamo a fare noi di Articolo 21 insieme a Libera Informazione.

Hai un messaggio da rivolgere a istituzioni e colleghi?

“Non voglio salire in cattedra. Ho fatto solo il mio mestiere. Volevo intervistare i Caldarola perché sono il prototipo delle famiglie in cui matura il disagio che poi porta a delinquere ed è per questo che ero lì, per fare domande, per portare alla luce quello che avviene in queste realtà. È la mia vocazione”.
Realtà difficili quelle che Maria Grazia ha provato a raccontare. Dall’ultima relazione della Direzione investigativa antimafia sulla Puglia è emerso che sono attivi 139 clan in 115 città della regione, una ragnatela criminale che colpisce quasi un comune su due.
Per comprendere come sia stato possibile arrivare a questo punto l’unico modo è andare al cuore del fenomeno e porre domande.
Per molto tempo si è rimasti fermi nella convinzione che in Puglia, a differenza di altre zone del Sud Italia, la criminalità fosse di tipo non organizzato. Ed è stata sottovalutata. Ma non è troppo tardi per iniziare a porre un freno.

Cosa si può fare per determinare un cambiamento concrero?

“Mi auguro che la mia vicenda possa determinare un cambio di passo. Non auspico una militarizzazione, la mia inchiesta non era per chiedere l’esercito, ma risanamento. Io ho chiesto al sindaco, per favore, di rafforzare l’intervento sociale. Subito. Bisogna dare delle risposte ai giovanissimi che hanno il peso sopra le spalle di queste famiglie mafiose che compiono azioni criminali, intimidazioni che pesano sul futuro di questi ragazzi. Lo schiaffo rivolto a me ha pesato più su questi ragazzini, sui più deboli, chi ha i genitori disoccupati o in carcere. È lì dove bisogna intervenire”.

”Quello ricevuto a Bari è stato uno schiaffo visibile – tiene a evidenziare Maria Grazia alla fine dell’intervista – Una famiglia di mafia mi aggredisce così ma tutte le domande che io ho posto ai potenti in tanti anni di inchieste sulla mafia e sulla corruzione me le hanno fatte pagare in altro modo”.

Cambierà qualcosa da oggi nel tuo modo di fare giorbalisno?

”Mi sono sempre definita una cronista con i sandali, come Libero Grassi si definiva un imprenditore con i sandali. Non porterò mai le scarpe chiodate. La mia vocazione dopo la mia laurea in scienze politiche, indirizzo internazionale, è stata quella di servire i cittadini, di portare un’informazione di verità. Ho ritirato la firma quando non era possibile fare un pezzo come dicevo io. Ognuno agisce secondo la propria coscienza”.
E noi di Articolo 21 seguiamo la nostra. Non solo amplifichiamo le richieste di Maria Grazia ma rilanciamo con un appello alle istituzioni e alla società civile affinché si ponga rimedio alla mancata risposta, a livello di comunità, al fenomeno malavitoso in Puglia con un’azione di contrasto collettiva, globale.
Iniziando con la riqualificazione dei quartieri, recuperando zone abbandonate, creando nuovi spazi dove mancano luoghi di aggregazione. E continueremo a dare spazio a quelle inchieste e a porre domande, come Maria Grazia, illuminando il buio del Paese.

Articolo 21

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