Dia: la “Questione” criminale mafiosa (parte prima)
L’aspetto più sorprendente, direi sconcertante, è che l’importante relazione del Ministro dell’Interno Marco Minniti al Parlamento sull'”attività svolta e risultati conseguiti dalla DIA” nel primo semestre 2017 sia stata presentata alcuni giorni fa ad un Parlamento ormai sciolto per la fine della legislatura, a gennaio scorso. Quindi, ancora una volta, è altamente probabile che nessun (ex) parlamentare si cimenterà nella lettura (e nello studio) delle 334 pagine di tale documento.
Già nell’agosto dell’anno passato, non si può certo dire che il momento della presentazione della relazione DIA del 2016 fosse stato il più favorevole. Si era infatti alla vigilia del ferragosto quando deputati e senatori, come una buona fetta della popolazione, erano più interessati alla programmazione degli ultimi dettagli del riposo vacanziero che a leggere – figuriamoci a studiare! – il voluminoso elaborato (oltre 300 pagine compresi gli allegati). Se poi la relazione semestrale della DIA è finalizzata “..ad informare la collettività (..) sull’andamento del fenomeno mafioso..”, devo dire che, con le dovute eccezioni, si rileva sempre una profonda ignoranza sul tema da parte di un’ampia maggioranza di quella “collettività” impensierita quotidianamente più dalla criminalità predatoria e violenta spicciola che da quella mafiosa.
Quest’ultima, da molti anni, si è proiettata, per i suoi sporchi affari, anche in molti paesi dell’UE ed extraeuropei, creandovi non pochi problemi di inquinamento criminale. Anche per questo l’ultima relazione della DIA dedica all’argomento (una novità rispetto alle precedenti relazioni) un apposito capitolo. D’altro canto si assiste nel nostro paese all’ aumento della presenza delle organizzazioni criminali straniere con “..un’operatività che spazia dal traffico dagli stupefacenti a quello di armi, di rifiuti e di merci contraffatte, fin alla tratta di persone da avviare al lavoro nero e alla prostituzione”. Così, in “..un panorama molto frastagliato fatto di organizzazioni presenti ormai da tempo nel nostro territorio nazionale (si pensi a quelle cinesi) oppure più recenti, ancora in fase di crescita..” la domanda, legittima, che molti si pongono è come mai non si sia riusciti a porre un adeguato argine, nonostante l’impegno delle nostre forze di polizia, a questo proliferare ed espandersi della criminalità straniera che, in molti casi, ha stretto anche “..storiche alleanze con le organizzazioni mafiose italiane”.
È il caso, per esempio, della criminalità albanese, sempre “più ramificata in ambito nazionale”, con gruppi “connotati da una struttura organizzativa in forma clanica” e primi gestori del narcotraffico di marijuana nel nostro paese, grazie anche al rapporto privilegiato che ha in Puglia (approdo naturale per i gommoni che trasportano la droga dall’Albania) con la criminalità locale. Al narcotraffico si aggiungono gli altri due ambiti criminali dello sfruttamento della prostituzione e dei reati contro il patrimonio (soprattutto la rapine nelle abitazioni) con il frequente ricorso alla violenza. Anche la criminalità rumena, fino a pochi anni fa “con limitata capacità criminogena”, è andata progressivamente evolvendosi al punto da acquisire, in talune inchieste giudiziarie svolte, “le caratteristiche tipiche delle mafie nazionali” con la conseguente contestazione dell”art.416/bis del c.p.
Il traffico di stupefacenti resta la principale attività, così pure la tratta di esseri umani, i reati predatori e quelli informatici, come la clonazione di carte di credito o la manomissioni di bancomat. Oltre a bande di matrice georgiana, specializzate nei furti in appartamento, la criminalità cinese è andata anch’essa assumendo nel tempo “modelli delinquenziali gerarchicamente strutturati, con caratteristiche di mafiosità”. Alcune operazioni di polizia, condotte in questi ultimi giorni a Prato e a Roma – con gli arresti di diversi cinesi, rispettivamente per associazione a delinquere di stampo mafioso, riciclaggio, autoriciclaggio, impiego di denaro di provenienza illecita – confermano la pericolosità di queste consorterie criminali.
Non mancano “uffici di rappresentanza” della criminalità sudamericana (colombiana, boliviana, venezuelana, dominicana, peruviana) per regolare il traffico internazionale di cocaina. La relazione DIA mette in guardia anche sulla criminalità nigeriana e centroafricana, sulla cui natura mafiosa, in diversi casi, vi sono già state sentenze di condanna passate in giudicato, in relazione ad indagini espletate da polizia di stato e carabinieri su narcotraffico, tratta di persone e prostituzione. L’esigenza di una “riflessione circa la necessità di calibrare ulteriormente l’azione di contrasto”, formulata dagli esperti della DIA e l’altra, non meno importante, di puntare ad una visione unitaria delle strategie nel contesto internazionale, sono due aspetti fondamentali per evitare una ulteriore “colonizzazione” nel nostro paese da parte di gruppi criminali stranieri.
Ma la politica anche su questo continua a nicchiare.
Trackback dal tuo sito.