Ostia, negare le mafie è una scorciatoia pericolosa
Negli ultimi mesi il municipio romano di Ostia è tornato più volte al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica nazionale e internazionale. Un’episodio, eclatante e sfacciato di fronte alle telecamere Rai, ha riportato nel dibattito pubblico le dinamiche criminali sul litorale romano, e la centralità del tema della libertà di informazione, già fortemente sollecitato nella città di Roma per il susseguirsi di minacce e intimidazioni ai cronisti che fino a oggi hanno consentito di accendere una luce su questi fenomeni.
Un’attenzione che difficilmente il territorio lidense aveva richiamato, e che ha interrogato molti sull’opportunità e la necessità di una narrazione profonda, non scandalistica, di ciò che stava accadendo in questo territorio, ricco di storia e risorse positive da valorizzare, ma ancora minacciato da presenze criminali importanti.
Presenze di cui oggi si parla molto, ma che in realtà risalgono agli anni ’70, quando una delle batterie della Banda della Magliana controllava il territorio di Ostia e Acilia e che oggi vede convivere – non sempre pacificamente – mafie tradizionali (i Triassi, legati a Cosa nostra) e autoctone (in particolare le famiglie Fasciani e Spada).
La loro forza e la loro pervasività hanno portato perfino allo scioglimento del X Municipio proprio per infiltrazioni mafiose nello scorso 2015. A finire nel reticolo delle indagini per mafia o corruzione sono stati infatti imprenditori, dirigenti pubblici ed esponenti politici, operatori di pubblica sicurezza, mentre diverse attività, lecite e illecite, rimpinguavano le casse dei clan: appalti, spaccio di stupefacenti, estorsioni, gestione di lidi e attività commerciali, perfino il racket delle case popolari sono diventati man mano le attività più remunerative.
La capacità di resistere nel tempo di questi gruppi criminali, anche oltre gli arresti e i processi, ha trovato un rafforzamento pericoloso nel ricorso a un’ampia zona grigia, pronta a scendere a patti con le organizzazioni criminali e trarne vantaggi, a discapito di un territorio che in pochi anni si è visto impoverito e depredato.
Un quadro complesso, difficile, che ha visto da tempo susseguirsi un coro di voci a negare la presenza delle mafie, una macchia da cancellare sull’immagine turistica e luccicante del litorale di Roma.
Non sono serviti gli arresti, un commissariamento per mafia, le inchieste dei giornalisti finiti sotto scorta, o le testate in diretta televisiva a generare un’inversione di tendenza in alcuni segmenti della società.
Di alcuni segmenti, perché una parte di Ostia ha iniziato a interrogarsi, comprendere, reagire. Associazioni, cittadini, parrocchie, imprenditori, molti giovani, hanno alzato la voce, raccontato e lavorato in questi anni per migliorare il proprio territorio, lavorando nel solco della creazione di legami di solidarietà e giustizia. Ne è prova un 21 Marzo, Giornata in ricordo delle vittime innocenti di mafia, che ha visto nel 2017 a Ostia più di cinquemila persone scendere in piazza, o i processi contro Fasciani, Triassi e Spada in cui associazioni e giornalisti si sono costituiti parti civili.
Ma ancora le voci sul territorio sono diverse. L’ultima, “Ostia sono Io”, è una recente iniziativa di Ascom – Confcommercio Roma X Municipio e Litorale Romano che punta a raccontare le cose da un’altra angolazione rispetto all’“immagine devastante”, restituita da TV e giornali, decostruendo attraverso una serie di interviste a imprenditori e giornalisti alcuni luoghi comuni, cominciando dalle presunte richieste di pagamento del pizzo da parte dei commercianti ostiensi. Gli intervistati raccontano di non aver mai nemmeno sentito parlare di questo fenomeno a Ostia: le tasse (“L’unico pizzo”) e “il taccheggio giornaliero” sono i problemi lamentati dagli imprenditori.
Eppure sono almeno 37 gli episodi di intimidazione ai danni di attività commerciali avvenuti tra il 2007 e il 2015, almeno 4 omicidi dal chiaro movente mafioso, ai quali si aggiungono gli agguati e le gambizzazioni – l’ultima risalente a novembre scorso, quando due uomini a volto coperto hanno sparato in una pizzeria del centro di Ostia – e ancora diverse decine le persone indagate come appartenenti a clan cui viene contestato di operare con modalità mafiose.
Numerosi racconti raccolti nelle indagini della Procura dimostrano l’importanza dell’attività del pizzo per i clan locali, centrale – come sempre – non tanto a livello economico, quanto più per il significato simbolico che riveste, a testimonianza del potere esercitato su determinate zone del territorio.
Ma si può davvero paragonare Ostia a Corleone? Probabilmente la risposta è no, come non si può certamente negare che il suo tessuto economico e sociale sia stato intaccato dalla presenza delle mafie, o che il principio di rappresentanza democratica sia stato minato da corruzione e malaffare.
E ancora dire che a Ostia c’è la mafia, vuol dire affermare allo stesso tempo che tutti i cittadini del municipio siano mafiosi? No, ma non si può nemmeno negare che l’illegalità e la corruzione diffuse in alcuni settori abbiano senz’altro favorito chi, come le mafie, aveva disponibilità, risorse e interesse per entrarvi.
Negare questi fatti appare rischioso, così come sostenere che il solo parlarne possa creare danni all’economia di un territorio, specie se fortemente legato al turismo come quello di Ostia. Sono questi argomenti che, a ben analizzare, ricorrono in quasi tutti i territori nei quali si comincia lentamente a prendere consapevolezza del problema. Succedeva a Milano, succedeva perfino in Sicilia.
Ma non è forse più pericoloso nasconderlo il problema, rinunciare a conoscerlo, a discuterne, rinunciare a scegliere apertamente e pubblicamente di quali strumenti dotarsi per affrontarlo con efficacia? Non è profondamente ingiusto nei confronti di chi ha subito la violenza dei clan, le minacce e i soprusi, e di tutta la comunità di Ostia che vive e desidera un futuro libero da tutto questo?
Sono proprio la conoscenza, il dibattito e l’attenzione pubblica i presupposti per creare le condizioni di un futuro diverso, che consenta di illuminare l’orgoglio della comunità ostiense e mettere in luce le sue risorse migliori, umane e civili, e la sua bellezza straordinaria fatta di natura e storia, e di affrontare le fragilità di chi rimane indietro.
Una bellezza che abbiamo tutti il compito di esaltare, raccontare, di rendere visibile, assumendoci la responsabilità di creare le condizioni affinché tutto ciò possa accadere. Per farlo, negare le mafie rischia di essere una scorciatoia che non porta da nessuna parte. Riconoscerle e affrontarle, insieme, l’unica scelta necessaria.
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