La sfida alle mafie agroalimentari
La legalità conviene sempre. Anche nell’agroalimentare. Una filiera presidiata dalla legalità é la garanzia migliore per ottenere un cibo non solo buono, ma anche sano e giusto, capace di tutelare gli interessi del consumatore e l’economia virtuosa.
L’agroalimentare oggi “tira”. E’ sempre più un settore portante della nostra economia: muove quasi 300 miliardi di euro, occupa 2,5 milioni di persone. Quel che “tira” nello stesso tempo “attira”: profittatori e farabutti, fino ai mafiosi. Mentre la legislazione vigente è inadeguata. I rischi che si corrono sono minimi, imponenti invece sono i guadagni che truccando le carte si possono realizzare. Non c’è confronto fra costi e benefici. Non c’è “deterrenza” della pena.
E’ un sistema – quello attuale – caratterizzato dalla dissoluzione di una tutela penale efficace, per quanto riguarda soprattutto i consumatori. Un sistema debole, perché prevalentemente orientato a proteggere i titoli di proprietà industriale e intellettuale contro le contraffazioni, e solo marginalmente attento al contrasto delle frodi. Di qui l’assoluta necessità di riformarlo.
Il Ministro Orlando ha istituito, con decreto 20 aprile 2015 , una Commissione, che nell’ottobre 2015 gli ha presentato un articolato progetto. Orlando, con poche varianti, lo ha fatto sostanzialmente proprio e lo ha portato al Consiglio dei ministri. Dove però è rimasto fermo a lungo. Finalmente, il primo dicembre scorso, è stato approvato e avviato alle Camere.
L’impressione è che ci fosse qualcuno che frenava, che preferiva le istanze corporative ad una trasparente collaborazione per il bene comune. Si è teorizzato (anche in convegni pubblici) che troppe regole inceppano il libero dispiegarsi dell’economia. Falso. E già sentito. Quando Giovanni Falcone cominciò ad occuparsi di mafia, un alto magistrato palermitano si precipitò nell’ufficio del suo capo, Rocco Chinnici, rimproverandolo perché consentiva a ‘sto Falcone di… mettere a rischio l’economia siciliana. E’ scritto nei diari di Chinnici, rinvenuti dopo che la mafia lo uccise in un attentato. La prova che in certi ambienti politico-culturali l’orticaria per le regole non guarisce mai.
In ogni caso, l’approvazione da parte del CdM – col superamento degli ostacoli che si potevano ipotizzare – è un primo importante passo. Altri ne dovranno seguire. Toccherà al Parlamento della XVIII legislatura. Vedremo come finirà, se con l’approvazione della riforma o con il suo affossamento. In questo secondo caso a perdere saranno i cittadini.
Perché la riforma offre strumenti utili a fronteggiare i nuovi complessi fenomeni di frode alimentare, ben lontani ormai dai casi dell’oste che mescola l’acqua con il vino. Configura azioni e reazioni adeguate, in grado di garantire cibo sano, territori salubri e cittadini consapevoli in vista di un modello di sviluppo capace di assicurare benessere alla collettività e carattere di distintività alle produzioni del nostro Paese.
L’obiettivo è non soltanto punire i comportamenti illeciti ma anche tutelare beni ulteriori e diversi dalla generica lealtà commerciale, valorizzando, in particolare, il consumatore finale di alimenti ed il “patrimonio agroalimentare”. Il riferimento esplicito a questo valore rimanda alla «identità» del cibo quale parte irrinunciabile ed insostituibile della cultura dei territori, delle comunità locali e dei produttori capaci di reinventare tradizioni antiche.
Sono quindi previsti nuovi reati e mezzi più incisivi di accertamento della verità ( come l’ ampliamento della possibilità di ricorrere alle intercettazioni). La prospettiva è quella di un diritto penale della vita quotidiana, capace di accompagnare il consumatore, rafforzandone la fiducia, dal campo allo scaffale e infine alla tavola. Con adozione per tutti gli alimenti di una “etichetta narrante”, che dica la piena verità in ordine alla provenienza, preparazione e contenuto (ingredienti compresi) del cibo e delle bevande che si consumano.
Articolo apparso su Il fatto Quotidiano
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