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La morte di Totò Riina e il futuro di Cosa nostra

Redazione il . Mafie

riinaÈ morto questa mattina alle 3,37 Totò Riina, boss di Cosa nostra detenuto al carcere duro da 24 anni.
Decine gli ergastoli a cui è stato condannato fra cui anche quelli per le stragi del 1992 in persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e i poliziotti che li scortavano. Con il maxi processo a Cosa nostra i giudici hanno inflitto al boss il carcere a vita per una serie di delitti e stragi commessi a Palermo negli anni Ottanta: dall’omicidio di Michele Reina a quello di Pio La Torre, a quelli di Piersanti Mattarella, Carlo Alberto dalla Chiesa, ucciso con la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo, fino alla strage in via Pipitone Federico, dove nel 1983 persero la vita il consigliere istruttore Rocco Chinnici e i carabinieri che lo proteggevano.

Riina ha ordinato migliaia di omicidi, molti dei quali li ha pure eseguiti di persona. Un sanguinario che ha messo a ferro e fuoco la Sicilia. Come nell’estate di terrore del 1979 quando ha scatenato l’inferno mafioso lasciando sull’asfalto decine di cadaveri. Fra tutti quello di Boris Giuliano, capo della Squadra mobile di Palermo. Oltre a lui Riina ha ucciso e fatto uccidere carabinieri, magistrati, sindacalisti, giornalisti, medici, funzionari regionali e politici. Vittime innocenti di un conflitto che “Totò u Curtu” ha voluto, senza eccezioni, per arrivare ad essere il Capo dei Capi.

Le parole di don Luigi Ciotti

 «La morte di Riina, come la morte di ogni persona, chiede rispetto. Ma questo non cancella il ricordo di una vita che, nel caso di Riina, è stata violenta, incompatibile con l’etica del Vangelo, strumento di sofferenza, di omicidi, di stragi.

Una vita che non ha mostrato segni di ravvedimento, nemmeno dopo la scomunica di papa Francesco ai mafiosi in quanto “adoratori del male” e nemmeno dopo il suo “pressante invito” affinché si convertano e aprano il cuore a Dio. Non solo Riina non si è pentito del male commesso, ma lo ha rivendicato, quindi non lo ha riconosciuto come tale. Mi auguro – nel pensiero caro che rivolgo alle persone uccise e ai loro famigliari, vittime di tanto odio – che almeno nel momento della morte abbia avuto il coraggio di guardare nel profondo di sé e di aprirsi così alla misericordia di Dio.

Quanto al futuro di Cosa Nostra, non bisogna illudersi che la morte del capo attenui la forza e la pericolosità di una mafia che ha dimostrato capacità di adattamento e rinnovamento, e che da tempo adotta lo strumento della corruzione e delle complicità politico-economiche per rubare la dignità e la speranza delle persone oneste».

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