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Torino ricorda Carlo Casalegno

Marika Demaria il . Piemonte

20171116_095250Quarant’anni fa l’attentato che portò alla morte del vice direttore della Stampa

 È l’attentato attraverso il quale “le Brigate Rosse hanno minato le fondamenta della società democratica e hanno ascritto i giornalisti nella loro lista di nemici”. Queste le parole del messaggio che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha fatto pervenire in occasione dell’iniziativa  “Il coraggio di informare” dedicata a Carlo Casalegno, primo giornalista assassinato dalle Brigate Rosse. Il convegno, organizzato dal quotidiano La Stampa, dall’Ordine dei Giornalisti e dall’Università degli studi di Torino, si è svolto giovedì 16 novembre in occasione del quarantesimo anniversario dell’attentato all’allora vice direttore del quotidiano torinese, morto dopo tredici giorni di agonia il 29 novembre 1977.

Maurizio Molinari, attuale direttore del giornale, non  ha esitato a definire “eroe” Carlo Casalegno, capace come tale “di insegnarci molto, a partire dai suoi scritti e dai suoi appunti. Credeva e difendeva fortemente i valori e i principi della democrazia, allora come adesso sotto attacco. Il populismo infatti intacca la democrazia e la legittimità della rappresentanza, mentre lo jihadismo di oggi colpisce come colpiva il terrorismo nazionale di allora. Dobbiamo riaffermare i nostri diritti, Carlo Casalegno appartiene alle nostre generazioni e a quelle future”.
Il ricordo di quel 16 novembre 1977 è affidato a Ezio Mauro, all’epoca giornalista della Gazzetta del Popolo di Torino. “Le 13.30 rappresentano per i quotidiani un orario sospeso: terminato di commentare il giornale uscito quella mattina, occorre pensare alla struttura del numero del giorno dopo ma non avendo ancora tutte le notizie da pubblicare. A quell’ora, quarant’anni fa, Carlo Casalegno rientra a casa, in via Umberto 54 a Torino: tiene su un braccio il proprio impermeabile e nella mano destra il mazzo di chiavi della propria abitazione. Apre il portone dell’androne e sente pronunciare il proprio nome. Vengono esplosi quattro colpi di pistola, una Nagant M1895 e il giornalista viene colpito in pieno volto da Raffaele Fiore, che pochi mesi dopo farà parte del commando di via Fani a Roma e che in aula di tribunale disse che aveva sparato al volto di Casalegno per non sparargli alla schiena, evitando così di coglierlo di sorpresa. All’attentato hanno anche preso parte Pietro Panciarelli, Patrizio Peci e Vincenzo Acella. La portinaia Marianna sente gli spari, esce e gridando corre a chiamare Dedi Andreis, moglie di Carlo Casalegno. Alle redazioni giungono le prime telefonate e si corre sul luogo dell’attentato. Quando arrivo in Re Umberto 54, apprendo dal mio collega Ottavio Comand che Casalegno era appena stato trasportato alle Molinette e mi dice che gli avevano sparato alla testa. Ricordo come fosse ora che Arrigo Levi, quella stessa sera, uscendo dall’ospedale disse: Carlo vive, Carlo ce la farà. Poco dopo, piazza San Carlo si popola di cittadini che idealmente vogliono stringersi intorno a Carlo Casalegno e lo stesso Arrigo Levi asserisce che ognuno doveva proteggere la città di Torino, la sua cultura”.

Il giorno successivo all’attentato, le Brigate Rosse ne rivendicano la paternità. Ora è chiaro il significato della frase “con i giornalisti alzeremo il tiro”, scritta dopo che Indro Montanelli era stato ferito a Milano il 2 giugno 1977 e profetica non solo per l’omicidio Casalegno ma anche per quello di Walter Tobagi, assassinato a Milano il 28 maggio 1980.

“Voglio ricordare – conclude Ezio Mauro – che durante quei tredici giorni di agonia, Carlo Casalegno è stato vegliato dal figlio Andrea, allora militante di Lotta continua. E voglio ricordare l’intervista che ha rilasciato a Gad Lerner e Andrea Marcenaro proprio per il giornale Lotta continua, nella quale ha ricordato la biografia e le amicizie del padre, rimarcando come sia pazzesco pensare di uccidere un uomo per ciò che ha scritto. La sua frase non si spara a un uomo per le sue idee ha sicuramente aperto una grande discussione in quegli ambienti. Carlo Casalegno è morto per le scelte che ha fatto, poiché il giornalismo non è un’arte mimetica ma rivela ciò che sei. E lui era un liberale, un democratico”.

Stefano Folli ha invece ricordato i maestri di Carlo Casalegno, tra i quali Luigi Salvatorelli che soleva rispondere, a chi gli domandasse perché uno storico doveva scrivere per un giornale, che il giornalismo è la miglior cattedra di storia contemporanea. “Casalegno nutriva curiosità per l’attualità e contemporaneamente amava la storia ma senza farsi ammaliare da inclinazioni giacobine che avrebbero influenzato i suoi scritti. Credeva fortemente nello Stato e nelle sue leggi, ricordo che scrisse al Generale Carlo Alberto dalla Chiesa circa lo stato delle carceri, che a suo parere dovevano essere fortezze inespugnabili ma anche case di vetro. Fu un intransigente riformista, per nulla moderato, attento alle minoranze, attento alla cultura, al dialogo con la Chiesa, attento alla complessità della politica. Il senso del titolo della sua rubrica Il nostro Stato ce lo consegna  lo storico  e magistrato Alessandro Galante Garrone: da un lato la fierezza di servire lo Stato, dall’altro la critica amara e pungente di tante sue magagne, storture e incompiutezze”.

“Essere cronisti negli anni del terrorismo significava avere un misto di coraggio e prudenza, essere un disarmato tra gli armati. Carlo Casalegno era un rigorista martire, non partecipava come me alla partita dell’astuzia e della sopravvivenza; leggendo i suoi articoli mi tormentavo poiché ero certo che sarebbe andato incontro alla morte”. Paolo Borgna, procuratore aggiunto di Torino, ha utilizzato queste parole di Giorgio Bocca per ricordare l’attentato di quarant’anni fa, aggiungendo che “Carlo Casalegno credeva molto nei giovani e nei suoi editoriali c’era sempre una ricerca di dialogo con loro, senza mai essere indulgente verso le convenzioni del tempo. Ricordo ancora un suo scritto sul 18 politico ma soprattutto ricordo e voglio ricordare la sua decisione di prendere parte al Convegno nazionale contro la repressione che si svolse a Bologna nel settembre ’77: fu lì che Carlo Casalegno iniziò a firmare la propria condanna a morte”.

Per commemorare il vice direttore della Stampa nel giorno della sua morte, il 29 novembre si svolgerà un secondo convegno articolato in due momenti, presso il Campus Einaudi di Torino. Al mattino si parlerà del giornalismo nell’era della sfiducia insieme con Maurizio Molinari, Enrico Mentana, Gian Maria Ajani, Franca Roncarolo e Alberto Sinigaglia; al pomeriggio si affronterà invece il tema “Professione giornalista: quale formazione e quali competenze per un ritorno alla fiducia”. Ospiti Carlo Verna, Giuseppe Giulietti e i direttori dei Master in giornalismo di Milano, Roma e Torino.

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