Bitcoin e criptovalute per pagare gli stupefacenti e riciclare denaro sporco
L’uso delle cripto valute elettroniche, in particolare bitcoin, la moneta digitale creata nel 2009, sta determinando nel contesto virtuale dove avvengono giornalmente migliaia di trattative illecite, pericolose infiltrazioni criminali nel mondo, soprattutto nel narcotraffico e nelle operazioni di riciclaggio. Già nel 2015, con l’operazione “Holly Molly”, condotta dalla polizia di Lecco in collaborazione con quella tedesca e sotto il coordinamento della DCSA, era stato scoperto un traffico di stupefacenti a livello internazionale gestito nella rete darknet da un italiano al quale, tra l’altro, erano stati sequestrati 30mila euro in contanti, un stampante per la produzione di documenti falsi e un borsello elettronico di 32 bitcoin per un valore di 10mila euro. Sempre quell’anno, il Servizio di Polizia Postale (Dipartimento della Pubblica Sicurezza) con l’operazione “Babylon”, aveva scoperto alcune migliaia di portafogli (wallet) di bitcoin in cui erano state effettuate moltissime transazioni riguardanti armi, droghe e documenti falsi.
L’anno scorso, ulteriori iniziative di contrasto al traffico di droghe on line, hanno consentito di individuare alcune piattaforme per lo spaccio oltre alla vendita di armi, banconote false, carte e bancomat clonati con la denuncia di una persona che convertiva bitcoin in euro, provento di tali attività illecite, a favore di pregiudicati operanti nella darknet. Quest’anno sono in corso interessanti attività di approfondimento investigativo che porteranno sicuramente ad altri risultati positivi. Si tratta di un fenomeno che si sta sviluppando velocemente nella parte più oscura e inaccessibile della rete la cui caratteristica principale è quella di consentire connessioni criptate ed anonime da parte di utenti che dispongono di adeguati hardware e software e di ottime conoscenze informatiche.
La modalità di pagamento in bitcoin nel mondo criminale ( la quotazione è altalenante ed attualmente si è attestata intorno ai settemila euro al pezzo) in generale è fonte di particolare apprensione negli organismi di polizia tanto più che altre cripto valute si stanno diffondendo, su tutte ethereum sviluppata nel 2014 da un programmatore russo. Sul punto, metteva in guardia, già nel 2013, Omri Mariam, esperto tributario della Università di California, nel suo saggio “Le criptovalute sono un super paradiso fiscale” come ha ricordato l’interessante articolo sul riciclaggio “Le oasi fiscali in tasca” di Federico Rubini (cfr. il Corriere della Sera del 7 novembre u.s.). In realtà stiamo passando, con straordinarie accelerazioni, da un mercato fatto di “incontri fisici” e di “luoghi fisici” (con i cosiddetti paesi paradisi fiscali), di accordi con strette di mano, di depositi di denaro contante nelle banche, alle contrattazioni elettroniche, anche da smartphone, dove gli ordini immessi nel sistema immateriale trovano rapida esecuzione, con pagamenti in bitcoin, ogni volta che domanda e offerta si incrociano.
Pochi sanno che anche alcuni istituti bancari italiani hanno attivato per i loro clienti un servizio bancomat che permette di cambiare il denaro reale in bitcoin da utilizzare solo su internet. In questo quadro solo un’attività di contrasto veloce e di elevato profilo da parte delle forze di polizia a livello europeo può avere qualche possibilità di successo.
L’esperienza, purtroppo, insegna che sono drammaticamente lunghi i tempi di risposta istituzionale a fenomeni criminali di tale portata come il narcotraffico e il riciclaggio on line. Entrambe le attività criminali stanno sempre più entrando nel mondo immateriale dove sarà tutto molto più difficile cercare di individuare le persone e inchiodarle alle loro responsabilità.
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