Il Pakistan nelle mani dei baroni della droga e dei gruppi tribali
L’arresto ai primi dell’ottobre scorso, all’aeroporto di Fiumicino, di un corriere pakistano con 11kg di eroina occultata in una valigia proveniente da Lahore (Pakistan) via Emirati Arabi, offre lo spunto per dare uno sguardo al Pakistan che, come noto, fa parte di quell’area geopolitica indicata come Mezzaluna d’oro a sottolineare la drammatica situazione di traffico e di consumo di stupefacenti.
A Lahore, l’eroina che arriva dalle varie zone di produzione attraverso compagnie di trasporto, viene stoccata nei magazzini-nascondiglio della città vecchia o smistata nei centri vicini per poi essere esportata, al momento opportuno, al di là del confine indiano. Il mercato dell’eroina in ambito europeo, peraltro, continua a restare su livelli di consumo notevoli ed i sequestri operati dalle forze di polizia ne sono la tragica conferma.
Anche in Italia dove, a marzo scorso, era emerso un traffico di eroina proveniente dal Pakistan via Grecia, con indagini svolte dalla guardia di finanza che avevano portato all’arresto di quattro corrieri all’aeroporto di Orio al Serio (Bergamo) e a Bologna ed il sequestro di 1,2kg di eroina. Si tratta di eroina prodotta a ridosso della frontiera con l’Afghanistan, in territori a ordinamento tribale e di difficile controllo per la configurazione anche fisica ed è, perciò, quasi impossibile pensare ad interventi risolutori nella zona (ha fallito, negli anni passati,anche l’UNODC ch tentò di introdurre colture alternative al papavero da oppio). Del resto la configurazione geografica e l’aridità del territorio, la struttura della proprietà terriera ancora di tipo semifeudale, l’assenza di alternative, rendono questo tipo di coltura (peraltro tradizionale), l’unica prospettiva di sopravvivenza per queste popolazioni. La produzione annua di oppio continua ad oscillare intorno alle 180 tonnellate per sfiorare anche le 200 ton quando la stagione è buona.
Anche la cannabis cresce praticamente dappertutto tanto che deve essere periodicamente eliminata persino nei giardini e negli orti, come pianta infestante. Nella cultura locale ne è, comunque, ben radicato l’uso e viene mescolata con il latte per farne una bevanda eccitante (detta bhang) oppure fumata insieme al tabacco o, ancora, utilizzata nella preparazione dell’olio di hashish (chiamato charas). Le attività illegali, stando alle notizie diffuse anche dalla stampa locale, troverebbero ancora protezione in personaggi politici noti come i “baroni della droga” dei parlamenti locali. Già in passato, peraltro, gli esempi di questo genere non sono mancati e tra questi vanno ricordati gli uomini vicini all’allora presidente Zia-ul-Haq, tra cui un ex ministro del governo (Roedad Khan), il fratello di un generale protetto dal presidente (tale Fazle Raziq),il figlio di un ex governatore (Nawazada Aurangzab Khan), un esponete politico, Anwar Khattak (arrestato ed estradato negli Usa nel 1995), elemento di collegamento con i narcotrafficanti del Punjab. A tutto questo si aggiunga la particolare situazione di cui godono le aree tribali, sostanzialmente esenti dal controllo dello Stato centrale. Per quanto riguarda i gruppi criminali , nei territori del nord troviamo i “commercianti di Gandalf”, dalla città in cui hanno la loro sede , sulle rive de lago Tarbela. Si tratta, in realtà, di un miscuglio di clan e gruppi, per lo più appartenenti alla tribù jadun. Sono esperti contrabbandieri di ogni tipo di merce e riforniscono di eroina e hashish il mercato interno ma, attraverso il porto di Karachi, anche quello internazionale. In alcuni distretti ad ovest di Gandalf (Mardan e Swabi) operano la tribù degli yusufzai mentre a Karak, Kohat e Peshawar troviamo i khattak, anche questi coinvolti nel narcotraffico. La via di accesso dal nord al territorio indiano ( il passo di Khyber) è sotto il controllo della “mafia degli afridi”, una tribù divisa in alcuni clan, di etnia pathan, razziatori e contrabbandieri animati da una spiccata bellicosità e affermazione individualistica (l’onore si acquista in guerra,nelle razzie, nei sequestri di persona,nell’esercizio del contrabbando).
Nel Belucistan i veri signori del territorio (e del business) sono i capi tribù locali, detti sardars. Da queste parti fiorisce indisturbato il traffico degli stupefacenti e la raffinazione anche grazie alla presenza consistente di trafficanti iraniani rifugiatisi qui dopo la rivoluzione khomeinista. Una miriade di piccole bande controllano il traffico e lo spaccio in alcune città minori (Jhang, Faisalabad, Sialkot e Lahore) del Punjab, la più ricca e importante provincia del paese.
A Lahore, anni fa, si arricchì Haji Iqbal Baig, contrabbandiere di lunghissima esperienza, ritenuto il “re della rotta indiana” dell’eroina e capo di quello che veniva indicato come il “consorzio di Lahore” (un insieme di bande della città vecchia). Il “vecchio capo” nel frattempo, molti anni fa, stato arrestato e anche lui è finito nelle carceri americane. Ma Lahore continua ad essere un punto rilevante di smistamento dell’eroina. Anche di quella diretta in Italia.
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