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Il sistema del “Magna”

Antonio Nicola Pezzuto il . Puglia

operazione hydraHydra, questo il nome dato dagli investigatori all’operazione di polizia giudiziaria che ha portato alla luce un diffuso sistema di corruzione e malaffare nella Pubblica Amministrazione. Hydra, come il mostruoso serpente mitologico con molte teste che rinascevano se tagliate. Hydra, come ogni male che sia gravemente dannoso alla società e che per la sua stessa forza e diffusione sia difficile da estirpare come, appunto, la corruzione.

L’ordinanza di custodia cautelare è stata emessa dal GIP Paola Liaci su richiesta del Sostituto Procuratore Milto Stefano De Nozza. Ventisette in tutto gli indagati, di cui due in regime di detenzione in carcere e dieci ai domiciliari.

Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere, corruzione continuata e aggravata per atti contrari ai doveri d’ufficio, concorso in finanziamento illecito dei partiti politici, concorso in falsa testimonianza, corruzione continuata per l’esercizio della funzione, favoreggiamento della prostituzione, false dichiarazioni sulla identità altrui, falsità per induzione in certificati amministrativi, concorso in falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative, concorso in truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.

L’indagine, condotta dai Carabinieri del N.O.R. di San Vito dei Normanni, ha portato alla luce un diffuso sistema di illegalità radicatosi in un lungo arco temporale di circa dieci anni e ha documentato l’esistenza di un contesto criminale organizzato, finalizzato alla sistematica commissione di numerosi delitti contro la Pubblica Amministrazione.

Figure centrali dell’inchiesta sono Giuseppe Velluzzi (detenuto ai domiciliari), Pasquale Leobilla e Angelo Pecere (entrambi detenuti in carcere). Il primo è un privato professionista, allo stesso tempo consulente del dirigente e direttore dei lavori, quindi pubblico ufficiale “votato al quotidiano tradimento dei valori di imparzialità e correttezza dell’agire amministrativo”, come si legge nelle 172 pagine dell’ordinanza. Gli altri due, apparentemente lavoratori dipendenti, sono in realtà titolari del potere di governo della Reteservizi S.r.l., società formalmente riconducibile a Clementina Sbano (con il 75% delle quote) e a Cosima Celino (per il restante 25%), specializzata nella gestione del servizio di pulizia, disinfezione, disinfestazione, derattizzazione, sanificazione e nell’attività di organizzazione del servizio di nettezza urbana per conto delle pubbliche amministrazioni.

Le indagini hanno consentito di appurare, senza timore di smentita, come la Sbano e la Celino, rispettivamente moglie del Pecere e dipendente dell’azienda con mansioni di segretaria, siano delle cosiddette “teste di legno”, vale a dire titolari apparenti e, quindi, figure scevre di potere decisionale e di coordinamento all’interno della Reteservizi S.r.l., la cui totale gestione è riconducibile al Leobilla e al Pecere che, sebbene siano soggetti privi di formale investitura, di fatto sono direttori e programmatori delle attività economiche aziendali.

Questo non significa, come puntualizza il GIP Paola Liaci nell’ordinanza, che la Celino non ha alcuna responsabilità, considerato che in qualità di rappresentante legale, firma tutti gli atti societari, “nella piena consapevolezza di porre così in essere un’attività per conto di chi, quale Leobilla o Pecere Angelo, ha programmato una rotta illecita lungo la quale condurre la propria azienda”.

Il Leobilla e Angelo Pecere, forti del loro potere, perseguivano come unico scopo quello di assicurarsi con modalità illecite l’appalto per la gestione del servizio di nettezza urbana, conservando una condizione di monopolio nel settore con conseguente realizzazione di profitti illeciti. I due intrattenevano una fitta rete di rapporti illegali con i rappresentanti di numerosi enti locali in Puglia: Torchiarolo, Villa Castelli, Carovigno, Poggiorsini, Biccari, Isole Tremiti. Questo dato conferma l’ampia estensione territoriale della capacità criminale del gruppo a loro riconducibile.

Nel Comune di Torchiarolo, il duo Leobilla-Pecere, in pieno svolgimento della campagna elettorale per le votazioni amministrative comunali del maggio 2015, stipulava un patto corruttivo con il sindaco uscente Giovanni Del Coco e, contestualmente, garantiva appoggio elettorale al candidato sindaco Nicola Serinelli (poi eletto e ora detenuto ai domiciliari) tramite un finanziamento illecito pari a 3.000 euro, “al fine di preservare la posizione egemonica della Reteservizi S.r.l. nella gestione del servizio di nettezza urbana del Comune di Torchiarolo”.

“In cambio di un contributo in denaro e dell’assunzione di sei operai presso la Società Reteservizi S.r.l., Leobilla e Pecere si assicurano la disponibilità del nuovo Sindaco del Comune di Torchiarolo Dott. Serinelli Nicola e del Vice Sindaco Nicolardi Maurizio i quali da una parte si impegnano a rispettare l’accordo bonario per la restituzione delle somme dovute alla Reteservizi dal Comune e dall’altra prorogano per ben due volte la scadenza della gestione del servizio di nettezza urbana in favore della Reteservizi”, scrive il GIP Paola Liaci nell’ordinanza, sottolineando come questo avvenga “nonostante il Comune si trovi in grave dissesto finanziario”.

A Villa Castelli, “emerge con chiarezza un duraturo rapporto di reciproco scambio di favori tra la Reteservizi S.r.l. e Pasquale Vitantonio Caliandro, dapprima in quanto candidato Sindaco (il riferimento è all’elargizione della somma di denaro pari a euro 5000,00 quale contributo per la campagna elettorale relativa alle elezioni amministrative del 2014) e, successivamente, in quanto Sindaco eletto (momento in cui il Pecere e il Leobilla elargiscono altro e diverse somme di denaro ottenendo in cambio la promessa di “corsie preferenziali” nell’affidamento della gestione del servizio di raccolta rifiuti del Comune di Villa Castelli)”.

Che si sia in presenza di un sistema rodato di gestione dai tratti fortemente illeciti lo dimostra anche la vicenda dell’affidamento del servizio pubblico di igiene urbana nell’Ambito di Raccolta Ottimale (ARO) nella provincia di Lecce. In questo caso si evidenziano i rapporti tra Pasquale Leobilla, Angelo Pecere e l’Ingegnere Michele Zaccaria, responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di Squinzano, nominato componente “esperto tecnico” della commissione esaminatrice della gara d’appalto che chiedeva e riceveva la somma in contanti di 3.000 euro dai due in cambio dell’aggiudicazione della gara d’appalto.

E ancora, la vicenda corruttiva del Comune di Poggiorsini dove il Vicesindaco Giovanbattista Selvaggi “esercita le sue funzioni e i suoi poteri al fine di garantire alla società Reteservizi S.r.l. una ‘corsia preferenziale’ nell’esecuzione dei lavori di fornitura e messa in opera di un impianto di autocompostaggio, ricevendo in cambio dagli imprenditori l’assunzione, e comunque la promessa di assunzione, a tempo indeterminato, di un dipendente da lui indicato”.

“Da ognuna di queste vicende emerge un complesso e duraturo rapporto corruttivo”, evidenzia il GIP nell’ordinanza.

Ma la fitta rete di rapporti illeciti creata dalla Reteservizi S.r.l. coinvolgeva anche dipendenti di diversi uffici pubblici come testimoniato dall’ampia disponibilità manifestata dal funzionario del Comune di Carovigno addetto al rilascio dei certificati di residenza, ovvero lo stretto rapporto esistente tra il Leobilla e una funzionaria in servizio presso la cancelleria del Tribunale di Brindisi che si prodigava per informarlo sullo stato di avanzamento di alcune pratiche giudiziarie relative alla Reteservizi S.r.l. in cambio di una modestissima utilità che poteva consistere in qualche chilo di pesce.

Questo sistema emerge chiaro dal contenuto di numerose conversazioni telefoniche e ambientali intercettate e, quindi, dal prezioso contributo offerto dagli stessi indagati nel corso dei colloqui dagli stessi reciprocamente intrattenuti. È inequivocabile il modus operandi di Labilla e di Pecere disposti a pagare qualunque forza politica, al di là di ogni colore di riferimento, pur di ottenere le corsie preferenziali al fine di vincere le gare di appalto per la gestione del servizio di nettezza urbana.

Dalla fitta rete di corruttele elevate a sistema dalla Reteservizi S.r.l., emerge con prepotenza la figura di Giuseppe Velluzzi, ingegnere a servizio del pubblico e allo stesso tempo del privato, con il quale Angelo e Francesco Pecere, il Leobilla, la Celino e la Sbano, nel perimetro dei rispettivi ruoli, poteri decisionali e contributi partecipativi, “hanno stretto un patto a finalità illecite, per tutti remunerativo, e connotato da evidente stabilità, modalità operative standard e costanti regole di gestione del gruppo così composto, e quindi tale da essere pacificamente inquadrabile nella fattispecie di cui all’art. 416 c.p.”.

Un’associazione per delinquere di tipo gerarchico dove ognuno ricopriva un ruolo allo scopo di raggiungere l’obiettivo comune. Il Leobilla e Angelo Pecere erano i promotori e organizzatori del gruppo che sovrintendevano alla sua gestione complessiva assicurandone efficienza e sviluppo. Informavano gli altri associati delle circostanze relative all’attività illecita poichè questi ultimi non avevano un potere decisionale autonomo e dovevano fare sempre riferimento alle decisioni prese da Leobilla e Angelo Pecere.

All’interno del sodalizio rivestivano un ruolo strategico importante Cosima Celino e Clementina Sbano che consapevolmente condividevano, sostenevano e partecipavano alle scelte criminali del sodalizio “per essersi prestate ad essere il ‘volto pulito’ della società nei rapporti con l’esterno”. Dalle intercettazioni emerge la figura di due donne che partecipano attivamente alle scelte criminali del sodalizio rafforzandone la capacità operativa. “In particolare la Celino, lungi dall’avere assunto un ruolo puramente strumentale e secondario, riveste, viceversa e conseguentemente, una posizione estremamente rilevante, poiché garantisce la fluidità e la sicurezza di tutte le attività gestionali della società: la predetta, difatti, firma tutti gli atti societari nella piena consapevolezza di porre in essere un’attività di supporto necessario alla conduzione, palesemente illecita, dell’azienda”.

Anche le conversazioni riguardanti la Sbano, intercettate all’interno dell’auto del marito Angelo Pecere, dimostrano un diretto coinvolgimento della donna nell’attività dell’associazione. I due dialogano apertamente dell’attività illecita, senza ricorrere ad alcuna cautela verbale o linguaggio criptico. Emblematica, tra tutte, la conversazione riguardante il patto corruttivo siglato con Michele Zaccaria.

PECERE: “Ha cercato subito la tangente”;

SBANO: “E l’avevamo immaginato”;

PECERE: “Però ha detto non ti preoccupare che ti faccio entrare;

SBANO: “E di quanto è il magna?;

PECERE: “Quello che vogliono”;

SBANO: “A non l’ha detto specifico”;

La conversazione fa capire chiaramente che è in atto “un interscambio corruttivo”.

“Il magna”, come lo definisce la Sbano, costituisce una tipica espressione dialettale con la quale si indica un “ottenere (‘mangiare’) qualcosa indebitamente”, vale a dire, nel gergo comune, un compenso illecito, richiesto nel mondo dei favoritismi e della corruzione. Ciò trova conferma nel dialogo successivo, quando il Pecere dice alla Sbano: “A me mi ha cercato un acconto subito di tremila euro e io gli ho detto ai primi di gennaio…”.

In definitiva, Angelo e Francesco Pecere, il Leobilla, la Celino e la Sbano, operano nella consapevolezza che per garantirsi un flusso imprenditoriale redditizio è indispensabile ricorrere a condotte false e truffaldine ma, soprattutto, che per poter mantenere solidi i rapporti con la Pubblica Amministrazione è necessario pagare i pubblici ufficiali via via coinvolti o con denaro, o con prestazioni sessuali o con assunzioni di parenti e amici.

All’interno dell’associazione spicca anche la figura di Giuseppe Velluzzi, referente del gruppo all’interno della Pubblica Amministrazione. L’uomo, nominato consulente da parte del dirigente dell’Ufficio Tecnico del Comune di Poggiorsini, Biccari e Isole Tremiti con l’incarico di elaborare la documentazione necessaria per ottenere finanziamenti regionali, forniva la sua collaborazione professionale in modo occulto alla società Reteservizi S.r.l. nella fase di aggiudicazione dell’appalto relativo alla realizzazione dell’opera finanziata dalla Regione Puglia, preparando tutta la documentazione di gara, in cambio del pagamento di una somma di denaro (o di prestazioni sessuali), per poi ricoprire le mansioni di Direttore dei lavori con il compito di controllare la stessa impresa per la quale aveva svolto le funzioni di consulente privato.

È così che Leobilla e Angelo Pecere partecipano alle gare d’appalto dove il Velluzzi esercita le funzioni di Consulente del dirigente, “facendogli predisporre la documentazione di gara, in quanto lo stesso per l’incarico ricoperto (di Consulente prima e di Direttore dei lavori poi) è in grado di offrire – ed in concreto ha offerto – quel contributo, evidentemente illecito, ma necessario, che permette alla Reteservizi S.r.l. non solo di vincere le gare d’appalto ma anche, e soprattutto, di eseguire l’opera sotto il controllo di un Direttore dei lavori ‘a busta paga’ della stessa società appaltatrice, controlli, quindi, evidentemente edulcorati – trattasi, difatti, e a tutta evidenza, di un rapporto di controllo prepotentemente viziato sul nascere, tale per cui il controllore sigla un accordo con il controllato, rendendo la funzione pubblica mera merce di scambio”.

A confermare l’illiceità delle condotte tenute dal Velluzzi, ci sono due distinti elementi: innanzitutto la circostanza che tutta la documentazione da lui preparata risulta sempre priva della sua firma (compare, infatti, solo il timbro della società Reteservizi S.r.l.) e poi il fatto che per avere prestato tali attività di consulenza, abbia percepito solo ed esclusivamente compensi “in nero”.

Questo vuol dire che se si fosse trattato di attività libero-professionale lecita, nulla avrebbe impedito al Velluzzi di sottoscrivere la documentazione fornita alla Reteservizi S.r.l. e a ricevere, successivamente, un’ordinaria remunerazione.

“Questo rodato e consolidato ‘meccanismo di scambio’ poggia su un sistema di utilità standard, vale a dire denaro e prestazioni sessuali: su questo filone si innestano le attività di favoreggiamento della prostituzione della Madaras da parte del Leobilla e del Pecere Angelo, i quali remunerano il Velluzzi offrendogli anche le prestazioni sessuali della predetta”, evidenzia il GIP nell’ordinanza.

Infatti, nel corso delle indagini, in molte intercettazioni telefoniche ed ambientali, emergeva che Pasquale Leobilla intratteneva rapporti con una donna di nazionalità rumena, Alexandra Laura Madaras, alla quale, nel suo breve soggiorno in Italia, non solo riusciva a garantire un discreto guadagno dalla sua attività di prostituta procurandole i clienti, ma anche a farle ottenere la residenza, la carta d’identità, il codice fiscale, l’apertura di un conto corrente bancario e l’assistenza sanitaria grazie alle sue amicizie e conoscenze. Inoltre, le garantiva l’assunzione fittizia presso la Reteservizi S.r.l. nonostante la stessa vivesse all’estero venendo saltuariamente in Italia per esercitare il meretricio per periodi di una o due settimane ogni due o tre mesi.

Dalla lettura dell’ordinanza emerge l’esistenza di un vero e proprio sistema ben strutturato e organizzato. Emblematico e significativo quanto scrive il Gip: «In sostanza, il comportamento degli indagati – pubblici ufficiali e imprenditori – non appare assolutamente occasionale, ma, al contrario, pare elevarsi ad un vero e proprio sistema di vita nel quale ‘il magna’ (vale a dire la tangente) rappresenta un aspetto essenziale».

Interessante sia per i contenuti di carattere psicologico che per quelli di carattere morale, quanto scrive il Pubblico Ministero richiedente, Milto Stefano De Nozza: “Assuefarsi a ricevere un compenso indebito quale corrispettivo per l’asservimento delle proprie funzioni ovvero per il compimento di atti contrari ai propri doveri di ufficio determina un effetto indiretto che è quello, evidentemente, di riuscire ad innalzare il proprio standard di vita ovvero consentire al pubblico ufficiale corrotto di avere una qualità dell’esistenza superiore a quella che sarebbe consentita dagli importi stipendiali.

L’innalzamento dello standard qualitativo crea assuefazione nella misura in cui, raggiunto quel parametro, ben difficilmente si accetta di tornare indietro.

Considerato, quindi, che il tornare indietro, abbassando conseguentemente lo standard già raggiunto, di fatto è impedito dal sapore dei benefici materiali e psicologici raggiunti, gli indagati si vedono, inevitabilmente, ‘costretti’ a continuare a delinquere e ciò fino a quando non intervenga una leva esterna, nel caso di specie gli ordini cautelari, l’unica idonea a rompere il sopra descritto meccanismo illecito.

In tal senso, quindi, deve essere negativamente apprezzata l’estrema facilità con cui gli indagati erano soliti avanzare richieste di denaro, l’indifferenza in ordine alla presenza di testimoni alle dazioni di denaro contante, nonché l’insensibilità verso le numerose tracce lasciate dalla condotta illecita (circostanza che lungi dal poter essere letta quale sintomatica di una ridotta scaltrezza degli indagati deve essere valorizzata nei termini di assoluta freddezza nei riguardi della stessa condotta illecita posta in essere): tutto quanto appena evidenziato si può e si deve giustificare solo nell’ottica di un sistema corruttivo diffuso, generalizzato, di fatto accettato, tollerato e quindi di carattere sistematico.

In buona sostanza deve essere opportunamente valorizzata l’eccezionale gravità delle vicende oggetto del procedimento e l’elevatissima determinazione a delinquere di tutti gli indagati soprattutto dei pubblici ufficiali garanti (ma solo su carta nel caso che ci occupa) della funzione pubblica, i quali hanno deciso di denunciare, dietro compenso, ad una discrezionalità che dovrebbe, viceversa, essere esercitata in maniera assoluta in ragione di una attenta ed imparziale comparazione fra gli interessi in gioco.

Avvilente, altresì, che la vendita della funzione pubblica al fine di favorire gli interessi dei privati dei corruttori non abbia sempre una eccezionale consistenza: trattasi di un elemento significativo che depone, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, a favore della gravità dell’ipotesi accusatoria, colorando in maniera ancora più negativa le condotte degli indagati.

Nessun dubbio che la vicenda in esame si collochi al di fuori del perimetro della mera ‘regalia’ non idonea ad esercitare influenza sull’attività di comparazione tra confliggenti interessi cui i pubblici ufficiali sono chiamati.

Non bisogna trascurare, anzitutto, come la consistenza del pagamento richiesto, ricevuto o dato in promessa vada parametrata al volume di affari del privato corruttore e al valore degli appalti oggetto di mercimonio (che nel caso di specie ammontano a quote non eccessivamente consistenti); a seguire la circostanza che talvolta vengano promesse o consegnate ai pubblici ufficiali poche migliaia di euro (o che vengano pagate prestazioni sessuali con escort) lungi dal poter essere letta quale sintomatica di una minore pericolosità degli indagati, evidenzia, viceversa ed indefettibilmente, il peso (di fatto nullo) assegnato dal pubblico ufficiale alle proprie pubbliche funzioni. Ciò a voler dire come i pubblici ufficiali abbiano anche ‘svenduto’ le proprie funzioni, circostanza questa severamente indicativa del più spregevole e marcato senso del crimine che, alla luce dell’incarico dagli indagati ricoperto, implica una valutazione di pericolosità al massimo grado”.

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