Il narcotraffico e il Pil del nostro Paese
Era troppo importante la montagna di denaro sporco, prodotta dal narcotraffico e circolante nei mille rivoli del riciclaggio, per non suscitare gli interessi di un sistema finanziario, nazionale e internazionale, sempre avido di contante e alla ricerca di investimenti speculativi. Così, sin dal 2014, il nostro Pil (e quello di altri paesi dell’UE), secondo una direttiva elaborata in sede europea nel 2010, include anche il denaro proveniente dal commercio delle droghe, dal contrabbando di sigarette e dallo sfruttamento della prostituzione. Tutte attività criminali rivoltanti. C’è da scommettere che, in futuro, qualche solone della politica e della finanza, proporrà di includere altre fonti di sicuro interesse, come le attività predatorie, almeno quelle più “redditizie”, la tratta di persone, magari anche le estorsioni.
Ora, pur volendo prescindere da considerazioni di ordine morale che, in genere, non si conciliano con la politica che viene praticata da molti anni a questa parte (gli esempi di una mediocre etica pubblica e privata sono quotidiani), c’è da capire se ha ancora un senso parlare di prevenzione e di contrasto al traffico e spaccio di stupefacenti atteso che, paradossalmente, queste attività sono confliggenti con il desiderato aumento del Pil quotidianamente invocato. Ci si chiede questo perché nell’aumento dello 0,3% rilevato dall’Istat nel secondo trimestre del 2017 c’è anche il “contributo” delle attività criminali in questione.
Che nelle sgangherate casse dello Stato si mescolino una quindicina di miliardi di euro l’anno provenienti dal riciclo del narcotraffico con il denaro delle tasse pagate da cittadini onesti, non mi pare entusiasmante. Ma questo non interessa affatto perché “pecunia non olet” e il punto importante su cui si reggono i governi è quello della “crescita”. Punto.
A giudicare dagli “affari” che stanno facendo trafficanti e spacciatori di stupefacenti (ma anche sfruttatori della prostituzione, in gran parte stranieri/e) anche nel corrente anno, i “ragionieri” dello Stato possono ritenersi abbastanza soddisfatti delle performance di un tale mercato. Si pensi che, nei primi nove mesi del 2017, a livello nazionale, sono già state sequestrate dalle forze di polizia e dalle dogane, oltre 75tonnellate di stupefacenti (già ampiamente superato il valore delle 71ton dell’intero 2016), in gran parte derivati della cannabis che, a conti fatti, rappresentando, mediamente, una percentuale (stimata) di circa il 15-20% del volume totale delle droghe immesse sul mercato, può dare un’idea della “ricchezza” prodotta dal narcotraffico.
I sequestri, infatti, sono un buon indicatore, non l’unico ovviamente, delle quantità smerciate, senza contare che la media dei prezzi si mantiene ancora su quotazioni di tutto rispetto. Infatti, secondo i dati elaborati nel 2017 dalla DCSA (Direzione Centrale peri i Servizi Antidroga) sulle principali “piazze” (Roma, Palermo, Reggio Calabria, Napoli, Bologna, Venezia, Trieste, Milano, Torino, Genova, Verona), i prezzi, espressi in euro e oscillanti in relazione allo stato di purezza e all’origine delle droghe, sono i seguenti: per la marijuana da 1.300 a 1.880 al chilogrammo (allo spaccio da 7 a 10 euro al grammo); per l’hashish da 1.880 a 2.500 al kg (al minuto da 10 a 13 euro al grammo); per l’eroina bianca (la più costosa), da 30.000 a 39.000 al kg ( da 52 a 61 euro al grammo); per la cocaina da circa 35.000 a 42.000 al chilogrammo (da 67 a 90 euro al grammo nello spaccio su strada).
L’impresa del narcotraffico, dunque, continua a non risentire degli effetti della crisi globale, perché sia la domanda che l’offerta continuano ad aumentare. Insieme alla “ricchezza” di un paese in decadenza, dove il denaro sporco si mescola con quello guadagnato onestamente da cittadini e imprenditori.
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