Agromafie: il codice c’è, la politica no
La recente operazione delle Procure di Roma e Caltanissetta incentrata sul clan Rinzivillo rivela che I boss hanno messo le mani anche sul CAR, il mercato ortofrutticolo della capitale, oltre che su quelli di Vittoria, Fondi e Milano. L’ennesima prova che le “agromafie” investono la filiera agroalimentare in tutti i segmenti: dal campo allo scaffale alla tavola .
Il crescente interesse delle mafie per l’agroalimentare ha comportato – nell’ultimo anno – un’ impennata del “fatturato” da 16 a 21,8 miliardi di euro.
La mafia da sempre mostra speciale inclinazione per gli affari illeciti lucrosi a bassa intensità espositiva. Il cibo presenta al massimo livello questi requisiti. Le opportunita’ di guadagno sono forti ( il Made in Italy è un traino formidabile), mentre i rischi sono pochi.
Ne deriva un perverso effetto criminogeno della legge. Perché se si fa un calcolo costi- benefici in materia di illeciti agro-alimentari, la bilancia decisamente pende nella seconda direzione. Con la conseguenza che gli argini di prevenzione e contenimento crollano. Non sono più i tempi dell’oste che mescola l’acqua col vino.
Siamo passati ad una dimensione transnazionale dell’agro-alimentare e ad una complessità sempre più sofisticata delle frodi. Occorre dunque un radicale rinnovamento che contrasti la progressiva dissoluzione di efficacia della tutela penale.
Per questi motivi il ministro Orlando nell’aprile 2015 ha costituito una Commissione ( coordinata dal sottoscritto) con l’incarico di elaborare una riforma dei reati agroalimentari . A farne parte sono stati designati esperti selezionati per sensibilità, competenza ed esperienza consolidate. Nell’ottobre 2015 il ministro ha ricevuto un progetto di 49 articoli. Dopo le necessarie verifiche (anche confrontandosi con tutti gli interessati) il ministro ha fatto proprio per 4/5 il progetto e lo ha portato al consiglio dei ministri. Dove però è fermo da tempo.
Il progetto contiene importanti novità sul piano delle fattispecie di reato. Ma le novità più significative si registrano in ambito processuale.
E’ previsto un ampliamento della possibilità di ricorrere alle intercettazioni ( strumenti indispensabili se si vuol scavare in profondo e non accontentarsi di scalfire la scorza del problema). I prelievi e campionamenti “a sorpresa” ( ovviamente i più efficaci) sono disciplinati equilibrando l’etica del risultato con quella delle garanzie.
Per la trattazione dei processi sono predisposte corsie prioritarie: un segnale forte nella direzione di una nuova attenzione verso la salute dei consumatori e gli interessi degli operatori “virtuosi”.
Per l’accertamento della verità si introducono strumenti al passo con l’evoluzione dei sistemi di sofisticazione, tipo la efficacissima ricerca del DNA, già in uso per l’olio e nel doping. In sostanza, un buon progetto, nel giudizio di molti qualificati osservatori. Si tratta allora di sconfiggere le resistenze di coloro che al perseguimento del bene comune preferiscono le resistenze corporative. Certo è che si sentono in giro attacchi alla riforma che muovono dal presupposto che troppe regole danneggiano l’economia.
Guarda caso, lo stesso argomento usato da alcuni per boicottare l’estensione alla corruzione delle misure patrimoniali antimafia.
Viene in mente quella volta che Rocco Chinnici (il demiurgo del celebre pool antimafia) fu aspramente rimproverato da un “autorevole” collega palermitano perché affidava a tal Giovanni Falcone – allora sconosciuto -delicati processi di mafia. La motivazione?… ‘Sto Falcone può rovinare l’economia siciliana! Il racconto si trova nei diari di Chinnici rinvenuti dopo la sua uccisione ad opera di Cosa nostra. Una lettura attualisima per chiunque non voglia cedere – ancora oggi – alla tesi della difficile coesistenza fra regole ed economia.
*Proponiamo, con il consenso dell’autore, l’articolo pubblicato lo scorso 7 ottobre 2017 da Il Fatto Quotidiano
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