NEWS

‘Ndrangheta al nord, arriva la sentenza Pesci

Leuca Glisenti* il . Lombardia

sentenza pesciGiovedì  21 settembre 2017 è stata una data che la società civile tutta,  in primis quella bresciana, mantovana e cremonese, dovrà ricordare perché per la prima volta è stata riconosciuta e sanzionata la presenza della ‘ndrangheta e, nello specifico, del clan GRANDE ARACRI  nel nostro territorio e, soprattutto, nel Nord Italia.

Non una semplice infiltrazione ma un vero e proprio insediamento con una locale così importante per la “casa madre” cutrese da aver capacità decisionale ed autonomia a tutti i livelli, come ampiamente riscostruito dagli inquirenti della D.D.A. bresciana.

L’indagine trae spunto dall’ acume esplorativo dei militari del Nucleo Investigativo della Compagnia Carabinieri di Mantova che, insospettiti da una serie di incendi archiviati come “autocombustioni” dai comandi di zona, iniziano a scavare e passo dopo passo, con caparbietà e tenacia, ricostruiscono un intreccio di rapporti economici malati basati su estorsioni, corruzione, compravendita di voti, minacce ed intimidazioni. Tutt’altro che autocombustioni.

Si trattava di un quadro indiziario allarmante per la gravità degli episodi e per lo spessore dei soggetti coinvolti quasi tutti calabresi e tutti – o quasi – coinvolti,  a vario titolo, con clan ‘ndranghetisti di indubbio spessore criminale  quali gli Arena, i Grande Aracri, i Dragone che fanno del metodo mafioso il modus operandi per fare affari e soprattutto per forzare la volontà dei soggetti più recalcitranti. Così minacciano ed estorcono imprenditori quali Franzoni Matteo, Stradiotto Giampaolo, Marchio Giacomo, Boschiroli Giordano, Covelli Enrico costringendoli ad accettare condizioni economiche improponibili, ad accollarsi costi inesistenti, a cedere cantieri o a affidare lavori a ditte calabresi facendo intendere chiaramente – come riferirà il teste Esposito Rocchino – che nel mantovano, cremonese e nel reggino potevi lavorare solo se eri “uno dei loro”.

Un impianto accusatorio granitico basato su migliaia di ore di intercettazioni ambientali e telefoniche, sulla ricostruzione testimoniale delle parti offese, compreso quel Marchio Giacomo che, più spaventato dal clan che dalle patrie galere, ritratta e diventa al tempo stesso imputato per falsa testimonianza con relativa condanna, sull’apporto testimoniale fondamentale dei collaboratori di giustizia che ricostruiscono i legami e la presenza sul territorio dei clan dimostrando, ancora una volta, l’importanza di questo strumento voluto dal compianto dott. Giovanni Falcone.  Le condanne inflitte confermano la tesi accusatoria: BIGNARDI Deanna  4 anni di reclusione; BONACCIO Alfonso  10 anni di reclusione; GRANDE ARACRI Nicolino  28 anni di reclusione; LO PRETE Giuseppe 19 anni di reclusione; MARCHIO Giacomo 4 anni e 6 mesi di reclusione; MUTO Salvatore 18 anni di reclusione; ROCCA Antonio 26 anni e 10 mesi di reclusione; ROCCA Salvatore 1 anno e 9 mesi di reclusione; SILIPO Danilo e SILIPO ENNIO 4 anni ciascuno di reclusione.

Una sentenza storica  perché riconosce e certifica la presenza strutturata e saldamente radicata delle organizzazioni criminali ‘ndranghetiste nel nostro distretto e che va a zittire, prove alla mano, le tesi negazioniste di tanti, compresi i giornalisti nostrani, sulla assenza della criminalità organizzata di stampo mafioso nel nostro territorio.

Noi, però, dobbiamo andare oltre la verità processuale e “calare” la statuizione giudiziaria nel quotidiano; dobbiamo partire dall’affermazione fatta dai pubblici ministeri, al termine del primo grado di questo pachidermico processo,  ossia dalla considerazione che questa sentenza apre il tempo dello speranza.

Questa affermazione deve essere il punto di partenza non di arrivo;  da questa sentenza che squarcia le tenebre su una situazione celata per decenni – questi soggetti sono presenti sul nostro territorio  già dai primi anni ‘90 del secolo scorso come hanno ricostruito nella requisitoria i pubblici ministeri – dobbiamo prendere coscienza del fatto che tutti, senza ulteriori alibi, siamo chiamati a tenere gli occhi aperti e soprattutto a cessare di essere silenti e conniventi.

Dobbiamo ricordarci che noi siamo lo Stato, noi siamo il baluardo della legalità e della responsabilità, prima ancora delle forze dell’ordine e della magistratura, noi cittadini dobbiamo essere i primi a chiedere – come ricorda sempre il nostro caro don Luigi – il rispetto della legge e a chiedere che, quello che la mafia concede come favore,  ci venga dato dallo Stato perché è un diritto.

L’economia alterata dal crimine organizzato e dai suoi metodi basati su violenza e soprusi tolgono lavoro e speranza.

La sentenza Pesci ci ha riportato nel territorio della speranza per la nostra economia, il nostro lavoro e i nostri giovani.

Ora tocca a noi fare la nostra parte: tenere occhi ed orecchie ben aperti, pronti a segnalare e ad intervenire perché tacere è colpevole tanto quanto partecipare.

Nota di Libera sulla sentenza Pesci

 *per il Coordinamento Provinciale di Libera Brescia

Trackback dal tuo sito.

Premio Morrione

Premio Morrione Finanzia la realizzazione di progetti di video inchieste su temi di cronaca nazionale e internazionale. Si rivolge a giovani giornalisti, free lance, studenti e volontari dell’informazione.

leggi

LaViaLibera

logo Un nuovo progetto editoriale e un bimestrale di Libera e Gruppo Abele, LaViaLibera eredita l'esperienza del mensile Narcomafie, fondato nel 1993 dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio.

Vai

Articolo 21

Articolo 21: giornalisti, giuristi, economisti che si propongono di promuovere il principio della libertà di manifestazione del pensiero (oggetto dell’Articolo 21 della Costituzione italiana da cui il nome).

Vai

I link