Le tante mafie in Italia nella relazione della DIA
Secondo la corposa relazione della DIA presentata in Parlamento, con cui si è dato conto delle attività svolte e dei risultati conseguiti nel secondo semestre del 2016, in uno scenario generale di mafie, italiane e straniere, che controllano vaste porzioni del territorio nazionale, la situazione non risulta affatto migliorata negli ultimi mesi. Essendo noti il pragmatismo e la competenza con cui il ministro dell’interno Marco Minniti svolge la sua funzione, credo che farà di tutto per incentivare l’azione generale di contrasto alle mafie che, pure, viene svolta con innegabile impegno dai settori specialistici delle nostre forze di polizia, della DIA, della magistratura.
Abbiamo già evidenziato nei giorni scorsi le drammaticità presenti in alcune regioni (e all’estero) con una criminalità organizzata siciliana, calabrese e campana sempre più intraprendenti e aggressive nei loro affari illeciti. Su tutti, lo ripetiamo, il traffico e spaccio di stupefacenti, i più remunerativi in un contesto nazionale e mondiale in cui la domanda di droghe si mantiene straordinariamente elevata. Anche la criminalità organizzata pugliese, ridimensionatasi quella che, storicamente, era la “Sacra Corona Unita”, registra “l’emersione di nuovi gruppi criminali” accanto a formazioni mafiose ” da tempo radicate nelle province di Lecce,Taranto e Brindisi.
In questa regione il narcotraffico e la coltivazione di piantagioni di marijuana rappresentano l’attività principale ed hanno assunto dimensioni e caratteristiche tali da risultare sempre più frequenti sinergie operative con la ‘ndrangheta e la camorra, ma anche con realtà criminali allogene, in primis quella albanese. È proprio quest’ultima, tra le organizzazioni criminali straniere attive in Italia, che “..emerge per la sua pervasività stante l’interazione sempre più qualificata con le associazioni malavitose italiane”. E su questo punto, i sequestri di stupefacenti operati in Puglia dalle forze di polizia, negli ultimi anni e in questo scorcio del 2017, sono un evidente segnale della collaborazione della criminalità albanese con quella locale. Allarme, giustificato, anche nella provincia di Foggia dove opera la “mafia garganica” (espressione utilizzata nella relazione della DIA a pag. 173) ma dove si contendono i mercati sia del capoluogo di provincia che dell’alto e basso Tavoliere, anche altri gruppi criminali (quelli di Cerignola e di San Severo). La mafia garganica (la “mafia innominabile”, come la definì, alcuni fa, inascoltato, Domenico Seccia, allora procuratore della Repubblica di Lucera), agisce con modalità spiccatamente aggressiva, privilegiando le estorsioni, il traffico e spaccio di stupefacenti, il riciclaggio. Non particolarmente tranquillizzanti le (numerose) presenze di gruppi criminali stranieri.
Abbiamo accennato agli albanesi ma destano non poca preoccupazione (almeno negli ambienti investigativi) i gruppi rumeni divenuti, nel tempo, “organizzazioni strutturate”, quelli della criminalità nordafricana e nigeriana che già in diverse inchieste giudiziarie ha evidenziato “natura mafiosa”, quella proveniente dai paesi dell’est (tra cui i georgiani, specializzati nei furti in appartamento e nel contrabbando di sigarette), quella sudamericana, in particolare gruppi di colombiani particolarmente esperti nel commercio di cocaina. Un cenno a parte va riservato alla criminalità cinese che “nel tempo ha raggiunto livelli di assoluto rilievo” gestendo “traffici illeciti di portata transnazionale” (la tratta di persone, lo sfruttamento di manodopera, della prostituzione, la contraffazione e il contrabbando, l’usura e la gestione di bische clandestine, il traffico di droghe sintetiche).
Polizia di stato , carabinieri, guardia di finanza, gli investigatori della DIA, le varie direzioni distrettuali antimafia, la DNAA, tutti si danno un gran da fare nel contrasto alle tante (troppe) mafie che come metastasi stanno divorando il paese. Quello che continua a mancare, ed è questo il vero dramma, una adeguata, vera strategia politica di contrasto senza la quale, tra duecento anni, si starà ancora parlando di mafie e antimafia.
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