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Arresti a Brancaccio e sequestro beni Riina, doppio colpo a Cosa nostra

Donatella D'Acapito il . Sicilia

toto-riinaDoppio colpo alla mafia che arriva proprio a venticinque anni dalla strage di Via D’Amelio, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta.

Da una parte i 34 arresti che smantellano il clan di Brancaccio e un sequestro di beni per oltre 60mln di euro; dall’altra il sequestro di beni per circa 1,5mln di euro nei confronti di Totò Riina e della sua famiglia.

Nella notte, dunque, è arrivato il blitz di polizia e guardia di finanza di Palermo che ha sì il fulcro nel quartiere palermitano a cui padre Pino Puglisi ha dedicato la vita, ma ha propaggini anche in Sicilia, Toscana, Lazio, Puglia, Emilia Romagna e Liguria.

Le indagini, eseguite dalla Squadra Mobile e dal Gico del Nucleo di Polizia Tributaria del capoluogo siciliano, hanno permesso sia di ricostruire l’organigramma delle famiglie mafiose che appartengono al mandamento di Brancaccio, definendo ruoli e competenze di ciascuno e individuandone i capi, sia di chiarire alcuni episodi di minacce, danneggiamento, estorsione, furto e detenzione illegale di armi da parte di esponenti della stessa cosca. L’inchiesta ha svelato inoltre il controllo che la mafia esercitava su un gruppo imprenditoriale che opera in diverse regioni.

Così, oltre all’esecuzione delle 34 misure di custodia cautelare, sono stati sequestrati aziende e altri beni mobili per un valore complessivo che supera i 60mln di euro. Uno dei provvedimenti riguarda Pietro Tagliavia, già ai domiciliari, capo del mandamento di Brancaccio e della famiglia di “Corso dei Mille”. Insieme a lui, fra gli arrestati, anche insospettabili come Giuseppe Lo Porto, fratello di Giovanni, l’operatore umanitario rapito in Pakistan da Al Qaeda nel 2012 e ucciso tre anni dopo da un drone americano nel corso di una operazione antiterrorismo. Per Lo Porto, che risulterebbe essere fidatissimo del boss Tagliavia, l’accusa è di associazione mafiosa. L’uomo, stando a quanto si apprende, si occupava della gestione della cassa e della distribuzione delle “mensilità” alle famiglie dei carcerati. Gli introiti arrivavano sia dagli affari che queste indagini hanno svelato che dalle estorsioni imposte a tappeto nella parte orientale della città.

Poi c’è il sequestro del patrimonio dei Riina, eseguito dai carabinieri del Ros col supporto degli uomini del Comando Provinciale di Palermo e Trapani.

Un tesoretto composto da una villa, tre società, numerosi terreni e 38 rapporti bancari che, si è accertato, erano attualmente nelle disponibilità del capo mafia corleonese.

Punto cruciale delle indagini patrimoniali, condotte dagli uomini del Ros, è stato lo scollamento fra la differenza dei redditi dichiarati dalla famiglia Riina e la reale disponibilità di cui poteva disporre. In particolare, malgrado i sequestri di beni mobili subiti negli anni e a fronte dell’assenza di redditi ufficiali, gli investigatori notavano come la moglie di Riina, Ninetta Bagarella, riusciva a emettere fra il 2007 e il 2013 assegni per oltre 42mila euro in favore dei suoi familiari.

Fra i beni sequestrati c’è la villa, situata in via degli sportivi 42 a Mazara del Vallo e intestata a un prestanome, che sarebbe stata utilizzata in passato da Riina per trascorrete con la famiglia i periodi estivi della latitanza. Un immobile oggetto di contesa per i Riina, così come rivelano le intercettazioni deli uomini dell’Arma: all’indomani della sua cattura, infatti, Totò aveva ceduto l’immobile al fratello Gaetano, che ne beneficiava così ininterrottamente attraverso un fittizio contratto di locazione, ma oggi Ninetta Bagarella rivendica la proprietà dell’immobile per sé e per i suoi figli.

Il provvedimento odierno, annuncia l’Arma, si estenderà inoltre alle province di Lecce e Brindisi, dove sono stati localizzati i beni aziendali formalmente intestati ad Antonio Ciavarello, genero di Totò ‘u curto. Si tratta di società attive nel settore della vendita al dettaglio di autovetture che, stando agli esiti delle indagini patrimoniali, sono state costituite con proventi di presunta derivazione illecita.

Spicca poi che la decisione di sottoporre ad amministrazione giudiziaria l’azienda agricola dell’ente Santuario Maria Santissima del Rosario di Corleone, noto anche come il santuario della Madonna di Tagliavia, vicino al bosco della Ficuzza, dove nel 1977 è stato assassinato il colonnello dei carabinieri e comandante del Nucleo Investigativo di Palermo Giuseppe Russo.

Sarebbe stata accertata di fatto l’ingerenza di Riina e della sua famiglia nel controllo e nella gestione di un vasto appezzamento di terreno, controllo e gestione esercitati prima attraverso Vincenzo Di Marco, autista e giardiniere da sempre dei Riina, e poi dal 2001 attraverso il figlio Francesco Di Marco.

Le indagini dell’Arma hanno rivelato come ogni decisione sull’utilizzo dei terreni e sulla distribuzione delle rendite fosse in realtà presa proprio dalla famiglia del boss. E proprio un episodio legato alla gestione del terreno dimostrerebbe come Totò Riina sia nel tempo riuscito, nonostante la detenzione, ad imporre il proprio volere. I riscontri emergono dalle indagini portate avanti dalla Compagnia Carabinieri di Corleone che, nel 2012, hanno documentato l’esistenza di una controversia per la gestione di questi terreni tra il figlio del capo mandamento pro-tempore di Corleone, Leoluca Lo Bue, e Francesco Di Marco, che si era rivolto prima a Giuseppe Salvatore Riina (figlio di Totò) e successivamente alla madre Ninetta Bagarella.

La questione, dopo un duro confronto, si è risolta in favore del Di marco perché nessuno di era permesso di modificare le indicazioni dettate in precedenza da Totò Riina.

Un potere, quello di Riina, che nell’operazione “Perseo” del 2008, sempre dei carabinieri, si mostra anche nel tentativo di ricostruire la commissione provinciale di Cosa nostra, disegno questo portato avanti da importanti esponenti mafiosi come il superlatitante Matteo Messina Denaro, ma che all’epoca non aveva ricevuto il placet proprio del boss di Corleone.

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