I responsabili dell’ordine pubblico
Sono proseguite anche in queste ultime settimane, dopo i tragici fatti di Piazza San Carlo a Torino del 3 giugno scorso, le polemiche sulla gestione dell’ordine pubblico in occasione di eventi che determinano grandi concentrazioni di persone in luoghi pubblici. Alle critiche di carattere politico, dirette soprattutto al sindaco Appendino, e a quelle sul piano operativo al Questore, si sono aggiunte le reprimende ecumeniche dell’arcivescovo Monsignor Nosiglia,che ha parlato di responsabilità da parte di tutti, esortando a “fare squadra insieme perché la città è di tutti”.
E il richiamo alla responsabilità collettiva è anche nella circolare di giugno, a firma del capo della Polizia, che indicava uno schema di modello organizzativo di security, nella predisposizione dei servizi a tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza da parte delle forze dell’ordine e di safety “da parte delle amministrazioni territoriali, società o enti pubblici o privati competenti”. Torniamo così a fare qualche sintetica considerazione chiarificatrice, soprattutto di carattere tecnico, in tema di ordine pubblico e di sicurezza, prendendo spunto dai ruoli e dalle competenze che le leggi vigenti attribuiscono al prefetto e al questore nella materia e di quelle che il sindaco può esercitare in tema di sicurezza urbana (così come definita nella recente legge 48/2017).
Troppo spesso, in effetti, si stanno confondendo tali funzioni e i richiami-rimpalli di responsabilità che ne derivano non giovano certo alle istituzioni (in aprile, si ricorderà, era stato il sindaco di Milano a sollevare il problema relativamente ad una tardiva comunicazione di una operazione di polizia disposta dal questore nella zona della stazione Centrale). La tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza in una provincia sono affidate, in primis, al prefetto, organo della politica di pubblica sicurezza nella provincia, che nella sua veste di autorità provinciale di pubblica sicurezza “..sovraintende all’attuazione delle direttive emanate in materia..” e “dispone della forza pubblica..” coordinandone le attività (ossia il momento pianificatore, statico, del coordinamento). In questo senso l’art.13 della legge 121/1981 (“Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza”) che obbliga, al terzo comma, i vertici provinciali delle forze di polizia a tenere tempestivamente informato il prefetto di tutto quanto interessi la pubblica sicurezza nella provincia.
Anche il questore è autorità provinciale di pubblica sicurezza (art.14 della legge 121/1981) e in questa sua veste “ha la direzione, la responsabilità e il coordinamento a livello tecnico operativo dei servizi di ordine e di sicurezza pubblica..” (si badi bene, i servizi, ossia il momento dinamico, esecutivo del coordinamento). Insomma, il questore è, nella provincia, l’istituzione di pubblica sicurezza per eccellenza, espressione di un apparato che deve soddisfare l’interesse alla pubblica sicurezza ed anche per questo si pone in una posizione di supremazia rispetto ai comandanti locali delle altre due forze di polizia, che sono tenuti ad informarlo in tempo utile di tutto quanto interessi la pubblica sicurezza (art.14 ultimo comma). Obbligo di informazione verso il questore, pertanto, è previsto nello stesso Regolamento organico dell’Arma dei Carabinieri. Invece, nessun obbligo di informazione su operazioni di polizia di prevenzione né, tantomeno, di polizia giudiziaria (che avvengono sotto il coordinamento del p.m.), è previsto, da parte delle autorità di pubblica sicurezza, nei confronti del sindaco.
Ciò non esclude, ovviamente, che vi possano essere forme di collaborazione o cooperazione generica basate anche su incontri, riunioni, acquisizioni di pareri, che realizzano sul piano funzionale un coordinamento che prescinde da qualsiasi posizione sovraordinata.
Il sindaco, peraltro, è il primo tutore di quella sicurezza delle città e del decoro urbano che restano beni fondamentali per le singole collettività e su cui si può intervenire in base a patti tra prefetto e sindaco indicati nella legge 48/2017 ( nel rispetto di linee guida del Ministro dell’Interno) o sulla scorta di quanto valutato in sede di Comitato Metropolitano, co-presieduto da prefetto e sindaco, istituito dalla recente legge, proprio per esaminare tematiche sulla sicurezza urbana del territorio metropolitano. Altra materia, ripeto, rispetto all’ordine pubblico e alla sicurezza, ambiti sui quali, oltretutto, il prefetto deve sentire il Comitato provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica (Cposp), organismo ausiliario di consulenza che presiede e di cui fanno parte il sindaco, il presidente della provincia e i vertici provinciali delle forze di polizia.
Un sistema di sicurezza integrato ( espressione, di recente, spesso richiamata) ma con ruoli, funzioni e responsabilità ben delineate dalla legge per tutti i soggetti che lo compongono nel contesto di un modello di coordinamento che è quello definito dal legislatore nel 1981 con la legge 121 (che non è stata modificata dalla legge 48/2017). L’impressione è che le recenti scelte di politica legislativa sulla materia dell’ordine pubblico e della sicurezza siano orientate a sperimentare modelli nuovi organizzativi (coordinamento equiordinato e non più sovraordinato?), strutturali coinvolgendo appunto i sindaci ( e quindi le polizie municipali che da essi dipendono) e altri organismi (per esempio gli istituti di vigilanza privata), sotto la pressione di una opinione pubblica tormentata da una criminalità, non solo predatoria, sempre più invadente. Magari si arriverà anche al “riconoscimento” dei vari gruppi di vicinato,sentinelle di quartiere, ronde varie sorte nel tempo in diverse città! Il pericolo che si tratti di mettere “un ulteriore pezza ad un abito che è già di Arlecchino” (la frase è del Giannini, in Rivista Trim. diritto pubblico, 1973, pag. 457) è reale.
Il modello di coordinamento utilizzato per le nostre forze di polizia (e sono tali, ai fini dell’ordine e della sicurezza pubblica, solo quelle indicate nell’articolo 16 della legge 121/1981 e cioè oltre alla Polizia di Stato, l’Arma dei Carabinieri, il Corpo della Guardia di Finanza e della Polizia Penitenziaria), è di tipo orizzontale e se a tutti è garantita l’autonomia nel decidere , tutti debbono però tener conto della indicazione che proviene dal soggetto (estraneo o intraneo) cui è conferita l’ulteriore potestà di coordinare. In questo senso il prefetto e il questore, autorità provinciali di pubblica sicurezza, sono coordinatori, rispettivamente,sul piano politico-amministrativo e su quello tecnico-operativo, e si collocano in una posizione di sovraordinazione funzionale rispetto ai comandanti provinciali delle forze di polizia nei limiti dell’esercizio del potere di coordinamento loro conferito dalla legge 121/1981.
Il modello di coordinamento indicato (sovraordinato) comporta oggettivamente un aumento della incisività della attività operativa delle forze di polizia (con gli organici che dovrebbero essere adeguati alle accresciute esigenze di sicurezza) con indubbio vantaggio per tutta la collettività. Altro è la forma di quello che , nel tempo, la dottrina ha individuato come coordinamento equiordinato in cui, sostanzialmente, più soggetti, in posizione paritaria, assumono una decisione comune, congiunta. Situazione che, affrontando i temi della sicurezza in generale, a livello territoriale, presuppone una concordanza non sempre assicurata e, comunque, non agevolmente ottenibile nelle varie circostanze perché
ogni soggetto, coordinatore e coordinando, facendo mancare il suo consenso o l’adesione, può bloccare la fase che porta alla decisione coordinata. Questa richiesta di forme di collegialità decisionale si sono evidenziate anche in alcune recenti episodi ( per esempio a Milano) riguardanti legittime iniziative assunte da questori ( che nei capoluoghi di provincia hanno anche la funzione di autorità locale di pubblica sicurezza) su servizi di polizia di prevenzione e di controllo del territorio disposti e sui quali il sindaco ha lamentato la mancata informazione per le sue valutazioni. Questa tendenza alla codecisionalità, non prevista sul punto, in realtà nasconde il timore pregiudiziale di essere assoggettati a forme di sovraordinazione non gradite anche se il coinvolgimento decisionale gratifica e corresponsabilizza i soggetti coinvolti da coordinare ma mortifica la primazia del soggetto a cui la norma attribuisce la primazia funzionale. E’ capitato (capita) che, in alcune province, i Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica previsti dalla citata legge 121/1981 quali organi ausiliari di consulenza del prefetto, si siano trasformati in organi codecisionali alterando, così, la struttura e gli stessi effetti del modello coordinamentale.
Il coordinamento delle forze di polizia, ricordava anni fa il prefetto Carlo Mosca, profondo conoscitore del tema, “..è raccomandabile se istituzionalizzato (..) non è improvvisabile. Esso deve essere preordinato normativamente per ciò che attiene alle finalità, agli organi, agli strumenti, alle tecniche e alla stessa formazione professionale dei soggetti chiamati a attuarlo”. Un breve ciclo di formazione, forse, si potrebbe fare anche nei confronti dei sindaci che, lo ricordo, nei Comuni in cui non vi è l’ufficio di pubblica sicurezza, assumono anche la veste di autorità locale di pubblica sicurezza.
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