Scuola di anticorruzione civica
La lotta (istituzionale) contro la corruzione
“Ci porteremo dentro queste giornate con la consapevolezza di avere ancora più domande, più dubbi e sempre meno certezze”. Così Leonardo Ferrante ha aperto ieri, domenica 25 giugno, i lavori dell’ultima giornata della Scuola Common. Il referente nazionale del settore Anticorruzione civica e cittadinanza monitorante delle associazioni Libera e Gruppo Abele ha moderato la tavola rotonda sul tema “Come partecipare alle azioni istituzionali anticorruzione. Esperienze di open government a confronto”, esordendo con l’introduzione del contributo video di Raffaele Cantone, chiamato a spiegare se e come l’Anac, l’Autorità nazionale anti corruzione da lui presieduta, può aiutare la società civile e quindi non avere solamente un ruolo istituzionale.
La video risposta è stata chiara ed efficace: “L’unico sistema di controllo che può salvare la democrazia è il controllo civico, che si attua attraverso il monitoraggio dell’amministrazione. Il nostro compito è di far comprendere che i cittadini devono interessarsi alla corruzione, al bene pubblico, alla richiesta degli atti pubblici poiché è anche un loro interesse personale, prima ancora che collettivo. Purtroppo, è anche vero che la normativa vigente è inadeguata quindi dobbiamo sforzarci di offrire maggiori tutele e garanzie al soggetto, chiamato whistleblower, che decide di non essere connivente e di non tacere. Una scelta etica compiuta da poche e coraggiose persone è un segno di arretratezza e debolezza per il nostro Paese”.
Dall’etica del singolo all’etica della pubblica amministrazione. È il caso dei 360 enti che aderiscono ad Avviso Pubblico, la quale negli ultimi anni ha registrato un incremento di adesioni da parte delle amministrazioni settentrionali.
“Noi ci dotiamo – ha spiegato Francesco Vignola – principalmente di due strumenti: la Carta e la formazione. Sono utili, fondamentali, necessari ma non bastevoli. Bisogna fare di più. Un esempio virtuoso è rappresentato dai Comuni di Bologna, Reggio Emilia e Mantova: hanno scelto un tema preciso sul quale formarsi, hanno deciso di incontrare i cittadini che hanno un rapporto privilegiato con quel tema per confrontarsi insieme su cosa sta accadendo in quei territori. Questa è una modalità di lavoro che permette anche un approccio positivo verso l’altro, aiutando a comprendere chi si ha di fronte e che compito ha. Purtroppo infatti nell’immaginario collettivo l’amministratore in quanto tale è corrotto, sporco dal punto di vista etico e morale e quindi il suo compito è dimostrare che non lo è”. In maniera critica ma puntuale e costruttiva, Vignola si è posto e ha posto questa domanda: “Il 70% dei comuni italiani è al di sotto dei 5mila abitanti, come si può pensare di far ruotare i dirigenti se magari ce ne sono solo due quando non uno solo?”. Infine, ha sottolineato il problema delle competenze: “Al Nord l’età media dei dipendenti pubblici è tra i 55 e 58 anni e queste persone nella maggior parte dei casi non sono interessate agli aggiornamenti, mentre chi corrompe ha altissimi livelli di competenza”.
Di alleanza tra pubblica amministrazione e società civile ne ha parlato Claudio Cesarano illustrando i punti di forza dell’Open Government Partnership, un modo di governare la pubblica amministrazione attraverso strumenti di trasparenza e una maggiore partecipazione dei cittadini. A oggi, si conta un’alleanza di 75 Paesi tra cui l’Italia, presente fin dalla nascita, avvenuta nel 2011. Il terzo action plan italiano è ricco – come si evince consultando il sito open.gov.it – di obiettivi da raggiungere e di strumenti già messi in atto, come il registro trasparenza al quale ci si deve registrare per chiedere e ottenere un appuntamento con il ministro con cui si vuole dialogare, l’agenda trasparente dei comuni di Milano e Roma, le linee guida Anac sul Foia e sugli obblighi di pubblicazione.
Giuseppe D’Avella ha invece raccontato l’esperienza significativa del Comune di Messina, impegnata in un’alleanza forte e dichiarata tra l’amministrazione e i cittadini attraverso il Pon metro. Un tavolo di lavoro e di confronto, i cui risultati sono riscontrabili sfogliando il Piano operativo (scaricabile all’indirizzo http://www.ponmetro.it/wp-content/uploads/2017/02/Piano-Operativo_Messina_ver-2-1_2017.pdf).
“La mia idea di università è quella di formare persone competenti. Quando è esplosa l’emergenza rifiuti, ho intuito che avrei potuto raggiungere questo obiettivo attraverso il mio corso di Comunicazione pubblica e comunicazione d’impresa”. Così Daniela Vellutino dell’Università di Salerno ha chiesto ai propri studenti di effettuare una ricerca dati – “spesso, troppo spesso introvabili” – sul tema della gestione dei rifiuti e di renderli fruibili. “La comunicazione pubblica passa attraverso queste tappe. Per esempio, ritengo che il modello emesso per il pagamento della tassa sui rifiuti sia sottoutilizzato: il contribuente viene considerato passivo poiché conosce solo l’importo da pagare e la data di scadenza. Sarebbe invece utile e importante per i cittadini che i Comuni dichiarassero per esempio quanto guadagnano attraverso questa tassa e la quantità di rifiuti raccolta”.
Verso nuovi orizzonti
La riflessione sul perché divenire cittadini monitoranti, gli organizzatori della Scuola Common l’hanno affidata a don Luigi Ciotti nella sessione pomeridiana che si è svolta venerdì 23.
Il fondatore e presidente del Gruppo Abele e di Libera – le associazioni che hanno organizzato queste giornate di incontro insieme al Master Apc dell’Università di Pisa – durante il proprio intervento ha affrontato diversi temi, partendo ovviamente da quello della corruzione. Quest’ultima “rappresenta un tradimento, quando si corrompe o si è corrotti infatti si tradisce se stessi e si perde la propria dignità. La radice culturale di tutto questo è l’idolatria del denaro: per esso si corrompe, ci si lascia corrompere, ci si vende e ci si lascia comprare. Ecco allora che prima di cambiare il mondo che ci circonda dobbiamo cambiare noi stessi, il nostro modo di pensare e di agire”. Richiamando le parole del cardinale Carlo Maria Martini, etichetta come “peste” la corruzione e aggiunge: “La corruzione è il presupposto delle mafie; le criminalità mafiosa, politica ed economica sono intrecciate tra loro e rompere questo intreccio è una nostra responsabilità poiché ogni individuo deve occuparsi del bene comune, premessa del nostro benessere individuale. Si tratta di una scelta etica”.
Don Luigi Ciotti ricorda che l’etica chiama in causa l’integrità della nostra vita e che “deve essere scritta prima di tutto nelle nostre coscienze e si deve leggere nei nostri comportamenti. L’etica è anche il nutrimento della nostra democrazia: deve fare da sfondo a ogni progetto, ogni investimento, ogni comportamento. Il nostro lavoro è etico quando non presta il fianco a chi commette soprusi”.
La sessione plenaria è stata anche l’occasione per meglio analizzare la relazione della Direzione nazionale antimafia presentata nei giorni scorsi e per sottolineare quanto sarebbe importante sancire in un documento l’applicazione della scomunica per i mafiosi e i corrotti.
“Vi auguro – ha concluso don Ciotti rivolgendosi ai cento partecipanti alla Scuola Common – di trovare nuovi orizzonti. Cedere la nostra responsabilità è cedere la nostra libertà. Tutti siamo chiamati a compiere scelte più coraggiose. Dobbiamo imparare il coraggio di avere più coraggio. Il coraggio è un esercizio quotidiano che comincia dalle piccole cose, l’esperienza di ciascuno di noi deve trovare il senso nella responsabilità”
Presentato il libro “Anticorruzione Pop”
“Questo è un libro bussola che va all’essenza del fenomeno e fornisce una guida pratico teorica. Il solo afflato civico infatti non basta, occorre accompagnarlo e sostenerlo con le competenze, con i saperi”. Inizia così, con le parole della giornalista del Fatto Quotidiano Elena Ciccarello, la presentazione del libro Anticorruzione pop scritto da Leonardo Ferrante e Alberto Vannucci. L’incontro si è svolto giovedì 22 alla Certosa 1515 di Avigliana e ha di fatto aperto i lavori della Scuola di comunità monitorante Common, in programma fino a domenica 25 giugno e organizzata dal Gruppo Abele, Libera e dal Master Apc dell’Università di Pisa.
Un libro di agile lettura nonostante sia denso di contenuti e significati, nato con l’obiettivo di fornire degli strumenti ai cittadini che “sono chiamati a porre delle domande a chi deve dare delle risposte, iniziando dal proprio territorio di appartenenza. E a insistere, nel caso in cui queste risposte non arrivino” ha spiegato Leonardo Ferrante, referente nazionale del settore Anticorruzione civica e cittadinanza monitorante di Libera e Gruppo Abele.
Gli autori di Anticorruzione pop invitano a ragionare sulla pseudo-stima del costo della corruzione in Italia: 60 miliardi di euro annui. Una cifra che, si legge nelle pagine del libro, può avere una valenza pedagogica e di riflessione, ma è opportuno tenere a mente che la corruzione è un male sociale oscuro, sommerso, osceno con richiamo all’etimologia latina del termine. E che i danni che provoca sono incalcolabili.
La domanda sorge dunque spontanea: come prevenire, riconoscere e affrontare la corruzione se essa è un malaffare sommerso? Alberto Vannucci, ideatore e direttore del Master Apc dell’Università di Pisa: “Partiamo dal presupposto che si tratta di una battaglia popolare, da qui il termine pop richiamato nel titolo del nostro libro. La corruzione è l’accordo attraverso il quale poche persone saccheggiano il bene di tutti, è una questione elitaria. Quindi il suo contrasto deve corrispondere a una reazione popolare alimentata da campanelli d’allarme come campagne elettorali troppo costose, amicizie chiacchierate, contiguità tra professionisti e criminali…Bisognerebbe – precisa sorridendo – trasformarsi in stalker civici: la prima volta si busserà alla porta di un ufficio sbagliato, ma la seconda volta già si capirà a chi ci si dovrà rivolgere per porgere le domande scomode”.
Anticorruzione pop si conclude con un vademecum essenziale per chi vuole essere un cittadino monitorante ma “da non considerare come un passaggio obbligato bensì come un percorso”, ha precisato Alberto Vannucci.
Un percorso suddiviso in tre tappe: potere delegato di illuminare, di vigilare e di partecipare. Un vademecum che, sotto l’egida “Difendere ciò che è prezioso” (come si intitola l’ultimo capitolo che lo racchiude) sprona il cittadino a mettere al centro il proprio modo di ragionare, poiché ognuno è la chiave di volta del monitoraggio civico. Che in questi giorni, attraverso la scuola Common (contrazione di Comunità monitorante ma anche traduzione dall’inglese di bene comune) alla Certosa di Avigliana, sta vivendo la sua quintessenza. “C’è un bisogno di sapere, prima ancora di un diritto di sapere. La scuola è la versione empirica di quel modello”, concludono i relatori. Certi che sia doveroso “consegnare al passato la pratica pervasiva della corruzione nel nostro Paese, sottraendola al presente e soprattutto al futuro”, come si legge nelle conclusioni di Anticorruzione pop. Non a caso i due autori Ferrante e Vannucci hanno dedicato il libro rispettivamente al figlio neonato Tobia e al padre Giulio con un passato di impegnato amministratore pubblico.
L’intervento di Ernesto Belisario
Il diritto di accesso all’informazione è regolato da norme riconducibili al “Freedom of Information Acts” (FOIA). In base ad esse la pubblica amministrazione ha obblighi di informazione, pubblicazione e trasparenza e i cittadini hanno diritto a chiedere ogni tipo di informazione prodotta e posseduta dalle amministrazioni che non contrastino con la sicurezza nazionale o la privacy.
“In Italia, il Foia è diventato legge il 23 dicembre 2016 e, a distanza di sei mesi, siamo in grado di ragionare già in termini di casi concreti e dati interpretativi”, esordisce l’avvocato Ernesto Belisario che ha animato la sessione mattutina in plenaria della Scuola di “comunità monitorante” Com.mon, in corso di svolgimento presso la Certosa di Avigliana.
E prosegue spiegando che “il Foia è un patto di fiducia con i cittadini. Per mantenerlo, le amministrazioni possono o in maniera autonoma decidere di rendere noti certi elementi senza bisogno di aspettare una richiesta dei cittadini, oppure i cittadini possono chiedere di ottenere quei dati attraverso i diritti di accesso”.
Districarsi nel labirinto di normative e direttive non è certamente semplice. Tuttavia, un punto fermo può e deve essere il sito bussola.magellano.it che permette di analizzare la struttura dei siti internet delle pubbliche amministrazioni. In questo modo, il cittadino potrà verificare la trasparenza del sito di proprio interesse: Regioni, Province, Comuni, scuole, università, Asl, Camere di Commercio, società partecipate ma anche soggetti come le autorità portuali, gli ordini professionali e gli enti di diritto privato e vigilati sono tenuti a pubblicare una serie di dati così come stabilito dalla delibera 1310/2016 dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (www.anticorruzione.it).
L’avvocato Belisario, dopo un excursus normativo, ha offerto gli strumenti per essere cittadini monitoranti, ovvero ha spiegato come presentare una richiesta di accesso agli atti, facendo riferimento al decreto 33/2013 e specificando che dall’entrata in vigore del Foia Italy non è più ammesso il silenzio da parte della pubblica amministrazione di fronte alla presentazione di detta richiesta.
“Prima di presentare la richiesta (in carta semplice o tramite l’apposito modulo), occorre verificare qual è l’amministrazione che possiede i documenti e i dati ai quali siamo interessati. Dopo che è stata individuata, si visita il relativo sito per controllare che non siano già pubblicati. In caso negativo, si accede alla sezione amministrazione-altri contenuti-accesso civico.
La richiesta deve contenere le proprie generalità, l’indicazione dei dati e documenti richiesti, l’indirizzo e le modalità (posta ordinaria, posta elettronica) attraverso le quali si vogliono ricevere i documenti”.
Cosa accade quando la pubblica amministrazione riceve la richiesta di accesso agli atti?
“La domanda viene smistata al soggetto competente a rispondere. Nel caso in cui ci fossero dei contro interessati, questi ultimi devono essere avvisati poiché essi possono presentare un’opposizione motivata alla richiesta entro dieci giorni”. Trascorsi trenta giorni dalla presentazione della domanda, la pubblica amministrazione emette un provvedimento motivato, sia in caso di accoglimento sia in caso di rigetto, anche se parziale. “Le motivazioni del diniego – ha concluso Ernesto Belisario – possono essere di interesse pubblico o privato. Nel primo caso rientrano la sicurezza e l’ordine pubblici, la sicurezza nazionale, la difesa e le questioni militari, le relazioni internazionali, la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato, la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento, il regolare svolgimento di attività ispettive. Per quanto riguarda gli interessi privati, invece, troviamo la protezione dei dati personali in conformità con la disciplina legislativa in materia, la libertà e la segretezza della corrispondenza, gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica ivi compresi la proprietà intellettuale il diritto d’autore e i segreti commerciali”.
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