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Unione Europea, quale domani

Chiara Somarè il . Istituzioni, Recensioni

fabbriniProfessore di Scienza Politica e Relazioni Internazionali alla Luiss, direttore della Luiss School of Government e noto editorialista del Sole 24 Ore, Sergio Fabbrini ci propone con il suo ultimo lavoro “Sdoppiamento”, edito da Laterza, un’analisi lucida ed efficace sul domani possibile dell’Unione Europea. Nella cacofonia inconcludente del dibattito sull’Europa una voce chiarificatrice che sa ricondurre alla semplicità un tema complesso mettendo in grado il lettore di comprendere i termini del discorso ed effettuare delle scelte consapevoli.

Fabbrini ritiene che il processo di integrazione europea necessiti di essere analizzato nell’ottica di individuare gli strumenti per superare gli attuali fattori di crisi, in gran parte riconducibili all’utilizzo di modelli istituzionali insoddisfacenti, e compiere i passi necessari verso una maggiore integrazione e una maggiore democrazia all’interno dell’Unione.

Nel passato, l’esperienza europea si è fondata sulla volontà degli stati di accrescere la loro integrazione; questo processo ha consentito di superare molte difficoltà, che l’autore illustra, dalle origini ad oggi. Il settore del mercato unico si è strutturato con istituzioni sovranazionali, che lo governano decidendo a maggioranza.

A far tempo dalla crisi finanziaria del 2008, le difficoltà dell’Unione sono state ingigantite dalla debolezza delle istituzioni, con specifico riferimento alle decisioni relative ai settori più vicini agli stati nazionali, ovvero quelli della Politica estera e di sicurezza comune, della Politica della giustizia e degli affari interni e della Politica economica, tutti ambiti esterni al mercato comune.

Con il trattato di Maastricht si è deciso che anche le competenze che costituivano il cuore della sovranità nazionale dovevano essere integrate, si è peraltro deciso di abbandonare il metodo di decisione comunitario, a maggioranza, e si è individuato un sistema di decisione “intergovernativo”, precisato anche nel trattato di Lisbona, che prevede decisioni all’unanimità e riporta le decisioni in seno al Consiglio dei Ministri, concedendo a ciascun ministro che non sia d’accordo con le soluzioni individuate un potere di veto.

Il modello individuato ha esacerbato le crisi, senza trovare soluzioni che tenessero conto delle legittime esigenze di ciascuno stato; l’alterazione degli equilibri ha radicalizzato il malcontento popolare e ha causato una crescente centralizzazione amministrativa delle decisioni, confondendo i livelli di governo senza alcun bilanciamento dei poteri e senza una solida legittimazione democratica dei decisori. I più forti hanno imposto la loro leadership. La logica intergovernativa ha prodotto la divisione tra gli stati.

Sergio Fabbrini ripercorre, nel primo capitolo, la storia dell’integrazione europea, il contesto storico in cui si è sviluppata, evidenziandone i passaggi che hanno creato il nuovo ordine sovranazionale, i rapporti e le funzioni proprie di ciascuna istituzione ed i risultati in termini di benessere per i cittadini dell’unione.

Dopo il diniego francese all’introduzione di una Europa unica della difesa (1954) l’integrazione è stata perseguita attraverso l’unificazione economica, che alla fine ha richiesto l’adozione di una moneta comune.

Con il trattato di Maastricht il progetto di integrazione si è caratterizzato per la sua valenza politica e non solo economica; attraverso la creazione della Conferenza intergovernativa, con questa decisione si è consentito agli stati che volevano proseguire verso una maggiore integrazione di perseguirla, lasciando agli stati che non la volevano di chiamarsi fuori. Si è introdotta la differenziazione dei regimi decisionali, in vista della futura integrazione della moneta si è centralizzata la politica monetaria e si sono decentralizzate le politiche a quest’ultima collegate.

L’autore evidenzia che con il trattato di Lisbona si è avviato un sistema di costituzione duale, uno sovranazionale per il mercato unico, uno intergovernativo, per decidere sulle materie sensibili per gli stati membri. La struttura dei rapporti tra le varie istituzioni europee (Commissione, Parlamento e Consiglio dei ministri) non soddisfano i criteri della democraticità, della suddivisione dei poteri e del loro bilanciamento; il Consiglio dei Ministri ed il Consiglio Europeo hanno preso la prevalenza, con la crescita costante del ruolo dei governi e la centralizzazione delle decisioni.

Nel secondo capitolo Fabbrini illustra le varie crisi che si sono presentate a far tempo dall’anno 2008, i dilemmi che la costituzione intergovernativa non è riuscita a superare, le disfunzioni dovute alle decisioni all’unanimità, il trasferimento delle decisioni ad un livello fondato sull’accordo tra gli stati, e quindi radicato in inflessibili regolamentazioni giuridiche, che hanno dato modo di ottenere l’osservanza con regolamentazioni amministrative, anziché fondando le decisioni nel diverso ambito della discrezionalità politica. In tal modo si è di fatto formata una gerarchia tra gli stati ed imposto le visioni di un singolo stato, senza alcun rispetto delle esigenze degli altri paesi.

Tema del terzo capitolo sono le fratture sistemiche che si sono evidenziate in concomitanza con le elezioni europee del maggio 2014: la prima frattura è tra i paesi che fanno parte dell’eurozona e quelli che sono solo membri della comunità economica; la seconda è di natura geopolitica, all’interno dell’eurozona, e riguarda l’alterazione dei rapporti di forza tra Francia e Germania; infine la terza frattura, che riguarda la natura delle politiche per uscire dalle crisi, nonché la suddivisione delle competenze e prerogative nazionali e sovranazionali. La mancata differenziazione è all’origine dell’idea che tutti debbano adottare un unico modello di organizzazione economica.

L’autore inquadra, da un punto di vista storico, le problematiche dell’integrazione ed i contenuti che ciascun attore del processo (gli stati del nord Europa, quelli dell’est etc.) intendeva dare al progetto e le dinamiche conseguenti, che hanno influenzato lo sviluppo “ambiguo” del processo stesso. La prospettiva
dell’integrazione, secondo l’intenzione dei paesi fondatori dell’Europa continentale, doveva trasformare le relazioni tra gli stati, dal carattere di relazioni internazionali a quello di un’organizzazione sovranazionale. L’evoluzione del processo ha trasformato un percorso inteso come parlamentarizzazione
(democratizzazione) in una logica intergovernativa.

Fabbrini osserva che uno stato federale ha valenza diversa se nasce da una disaggregazione di uno stato o da una aggregazione di diversi stati. Il modello parlamentare può funzionare dove non sussistono significative asimmetrie demografiche o di identità nazionali. Concretamente il processo si è sviluppato in una logica coordinata a livello istituzionale, controllata dai governi nazionali, che si sono coordinati all’interno degli organismi intergovernativi. Ciò ha causato una Eurozona sempre più centralizzata, con le decisioni assunte dagli stati più forti in assenza di un controllo del parlamento sovranazionale.

Tali fratture possono essere ricomposte solamente attraverso un lavoro di riequilibrio tra le istituzioni, con una separazione multipla dei poteri, per controbilanciare l’organizzazione di stati che è sempre più controllata dal governo dello stato più grande, attraverso lo svuotamento delle istituzioni e dei processi decisionali sovranazionali.

L’obiettivo dell’integrazione rimane quella di creare un’unione tra uguali e non un’unione gerarchica. Se durante le crisi i governi nazionali diminuiscono la loro capacità decisionale, stanti gli interessi confliggenti e l’assenza di risorse proprie dell’Unione, occorre abbandonare l’idea di una integrazione unitaria e sviluppare una logica fondata su un diverso paradigma, ovvero che l’Unione appartiene alla tipologia di una unione di stati nata per aggregazione di stati distinti che precedentemente erano indipendenti e non dalla disintegrazione di un unico stato.

Nel quarto capitolo l’autore parte dalla premessa che, in Europa, l’idea di federalismo coincida con l’idea di creazione di uno stato unitario, mentre sarebbe opportuno riflettere sul fatto che una unione federale di stati, in precedenza autonomi, sia governata da un’istituzione ad essi superiore e dotata dei necessari poteri decisori. Tale assetto meglio risponderebbe alle varie asimmetrie che caratterizzano i vari stati, sia sotto il profilo demografico che culturale.

Sergio Fabbrini prosegue l’analisi mettendo in evidenza come si siano formati gli Stati Uniti, dando vita appunto ad una unione federale, caratterizzata, sul piano delle istituzioni, da un governo fondato su una separazione multipla di poteri. In particolare una separazione tra il centro federale e gli stati federati e tra le istituzioni di governo all’interno di ognuno dei due livelli territoriali. Il gioco tra le varie istituzioni ha creato una tensione, non una gerarchia, dando vita ad un equilibrio che – a seconda dei vari periodi storici – si è spostato più verso il centro o più verso le periferie, la cui origine è fondata su un patto politico, costitutivo, contenuto nella costituzione dell’Unione.

Fabbrini ritiene che anche l’Europa possa dare vita ad una federazione tra stati, fondata su un patto costitutivo, con la finalità di aggregare gli stati per trovare le risposte ai problemi che ciascuno stato da solo non potrebbe trovare.

Occorre evitare che l’integrazione favorisca alcuni stati e ne danneggi altri. L’unione è già un’organizzazione differenziata al suo interno, occorre riconoscere questa differenziazione e formalizzarla.

L’architettura istituzionale non dovrà basarsi unicamente sul Parlamento europeo come organo che legittima l’esecutivo, perché in questo caso gli stati più grandi potrebbero dominare quelli più piccoli. Occorre salvaguardare il pluralismo delle identità nazionali, per questo occorre il patto fondativo, per dare evidenza delle asimmetrie e delle differenziazioni, che troverebbero nell’accordo la definizione delle regole del gioco e la separazione multipla dei poteri, dando voce sia ai governi degli stati sia ai cittadini. Una unione tra eguali, con processi decisionali basati sulla competizione e la negoziazione tra istituzioni.

Fabbrini conclude il suo studio esaminando quali sono le difficoltà italiane nell’attuale contesto europeo, stante l’avvenuto spostamento del baricentro dell’unione verso decisioni assunte negli organismi che rappresentano i governi nazionali, piuttosto che in organismi sovranazionali. Ciascun paese dovrebbe essere dotato di un governo stabile, coerente e credibile, oltre che di un capo di governo che sappia di che cosa si discute in Europa.

In Italia – scrive Fabbrini – si è affermato un corporativismo sociale e professionale, espressione della grande frammentazione, che ha trovato nell’organizzazione dello stato centrale e nelle sue articolazioni locali e regionali il luogo ove reperire risorse, che così usate fanno aumentare le diseguaglianze, in uno scambio di breve periodo. Tutto ciò non fa altro che allontanarci dall’Europa.

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