Omicidio La Torre: convergenza tra mafia, terrorismo e forze eversive
«Il vero nodo da sciogliere oggi è perciò quello della mafia inserita nell’attuale sistema di potere. Affrontare questo tema significa entrare nell’ordine di idee di costruire un nuovo sistema di potere, basato veramente sulla democrazia politica e sulla democrazia economica in Sicilia»[1].
Così, nel lontano 1964, e in poche sintetiche frasi pronunciate a nome di un intero gruppo politico (quel «noi comunisti», più volte ripetuto nel corso del suo intervento), Pio La Torre offre ai deputati dell’Assemblea Regionale siciliana una lucida analisi del fenomeno mafioso, nella quale la militanza politica è indisgiungibile da una precisa idea di società e di democrazia. La mafia è un problema politico e della politica, poiché mina alla base il principio di uguaglianza e di giustizia sociale. Lo scontro con i gabellotti mafiosi è uno snodo centrale della lotta per le terre.
Il 13 novembre 1949, mentre guida il corteo dei contadini che rivendica il possesso dei campi assegnati dai decreti Gullo, attraversa le terre del feudo Strasatto, “boccone prelibato” di proprietà del Cav. Caruso. Il notabile ha scelto come “campiere” Luciano Leggio – uomo di fiducia del medico capomafia Michele Navarra – accusato, tra l’altro, dell’omicidio di Placido Rizzotto, segretario della Camera del Lavoro di Corleone.
E mentre Leggio gode di una dorata latitanza, La Torre subisce una detenzione lunga 17 mesi, accusato di resistenza a pubblico ufficiale, lesioni e violenze durante l’occupazione del Feudo di Santa Maria del Bosco, a Bisacquino.
Di Luciano Leggio, “latitante di Stato”, Pio la Torre denuncerà le protezioni politiche e istituzionali[2]. È un intreccio profondo, che prescinde dai singoli attori sociali; un legame tra poteri (politico-mafiosi e politico-istituzionali) che transitano con facilità dal latifondo alla speculazione edilizia, dagli interessi militari a quelli finanziari e che oltre a operare sottotraccia non teme neanche di mostrarsi in pubblico. Come quando, nell’estate del 1963, il deputato Dino Canzoneri «affermerà all’Assemblea regionale che Liggio era “un galantuomo e un fervente anticomunista”»[3].
Da qui la lucida denuncia dell’intimo legame tra “liberismo selvaggio” e sistema di potere mafioso. «L’ideologia del liberismo selvaggio è il terreno di coltura del dominio della mafia»[4], sosterrà Pio La Torre nel gennaio del 1982, legando inestricabilmente la lotta per lo sviluppo e l’autonomia del popolo siciliano alla lotta contro la mafia[5].
Ecco allora che parlare di mafia significa parlare di povertà ed emigrazione, del ruolo delle donne nelle lotte politiche e sociali. Significa prestare un’attenzione costante alle decisioni di politica economica, di pianificazione urbanistica e territoriale.
Significa segnalare con veemenza – mentre si discute della realizzazione di una terza pista che consenta l’atterraggio a Palermo nei giorni di scirocco – i veri motivi che hanno spinto un gruppo dirigente connivente a deliberare la costruzione dell’aeroporto palermitano di Punta Raisi nel luogo meno propizio; quello in cui l’abate Meli, già nel 1700, sconsigliava al cacciatore di cercare gli uccelli «perché il vento non permette agli uccelli di volare in quella località»[6]; coprendo gli interessi del gruppo Badalamenti – denunciati da Peppino Impastato – e del sistema politico-imprenditoriale che con lui faceva affari.
«Si sapeva tutto – dichiarerà Pio La Torre – ossia che la pista era a meno di un chilometro dalla montagna, che esistevano forti venti e che quindi si trattava di un sito insicuro. Ma la località fu scelta da un comitato di personaggi al servizio di ben altri interessi, […] in quanto essa favoriva una certa direttrice di marcia della speculazione edilizia a Palermo. […] E oggi […] dobbiamo avere l’amarezza di vedere alcuni di coloro che hanno ispirato queste scelte in favore della speculazione, far parte del Governo in carica, come ministri e sottosegretari»[7].
Ma la lotta alla mafia è anche difesa della pace. La straordinaria mobilitazione contro l’installazione dei missili Cruise a Comiso, nasce all’insegna di una richiesta di giustizia sociale e di una lotta contro tutti i poteri forti. «Negli ultimi anni sono accaduti in Sicilia fatti gravissimi» − scrive il segretario comunista − «Il potere mafioso ha rialzato la testa e abbiamo assistito a una sequenza drammatica di omicidi politici culminati nell’assassinio del presidente della regione, Pier Santi Mattarella. […] E come non vedere il pericolo che la trasformazione della Sicilia in una gigantesca base di guerra spingerebbe alle estreme conseguenze i processi degenerativi già così allarmanti?»[8].
Alcuni anni più tardi, la stessa lucida visione sistemica troverà spazio nell’editoriale di Giuseppe Fava al primo numero de I Siciliani. In esso, il giornalista catanese parlando dello «spaventoso lampo di violenza» che uno dopo l’altro ha reciso la vita di Mattarella, Costa, La Torre e Dalla Chiesa, porrà in relazione il «mortale inquinamento del territorio di Priolo», «la base missilistica di Comiso» e la pervasività del potere mafioso[9]. Poi, ironizzando sugli apprezzamenti espressi dal Cremlino nei riguardi dei cavalieri del lavoro (siciliani e settentrionali) interessati agli appalti per la base di Comiso, ricorrerà a un’efficace metafora: «La guerra nucleare è come un assassinio mafioso: non si dichiara ma si esegue, cioè si scatena senza preavviso e nel momento più imprevedibile»[10].
La mafia si profila dunque come un problema politico perché espressione di un sistema di potere, intrecciato col tessuto economico-produttivo, col mondo della finanza e con gli apparati dello stato.
Lo scenario si complica. Fino a toccare un ultimo prezioso spunto analitico di cui La Torre ci fa dono, spingendo a leggere dentro la stessa cornice – pur con i dovuti distinguo – gli interessi mafiosi e quelli terroristico eversivi. È l’assassinio di Piersanti Mattarella – ancor oggi circondato dal mistero – che gli offre l’occasione di approfondire le acute considerazioni espresse all’indomani dell’omicidio di Cesare Terranova[11]. «Noi non vogliamo esagerare […] – affermerà di fronte alla Camera dei Deputati – ma l’acutizzazione delle manifestazioni criminose della mafia costituisce oggi un aspetto non secondario della crisi più generale che il paese sta attraversando, dei pericoli e delle minacce che investono il nostro sistema democratico. […] la mafia, specialmente in Sicilia diventa più sfrontata, sfida sempre più apertamente lo Stato democratico, mutando anche i metodi del terrorismo politico. [….] Arriviamo così alle sequenze allucinanti degli assassinii dell’ultimo anno a Palermo, dal giornalista Mario Francese, a Michele Reina, da Cesare Terranova a Boris Giuliano fino al presidente della regione Piersanti Mattarella. […] la mafia non ha gli stessi obiettivi del terrorismo; tuttavia ci troviamo oggi di fronte ad una convergenza che non è solo obiettiva, cioè ad un intreccio di rapporti. Si tratta di capire fino in fondo come si svolgono certe trame e che cosa ci sia dietro di esse. Invece, esiste il buio totale: forse abbiamo il timore di mettere le mani su qualcosa che non si sa dove vada a sfociare»[12].
Pochi giorni dopo, il 31 marzo 1980, la presentazione del progetto di legge n. 1581 che stabilisce l’introduzione del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, regolamentato da uno specifico articolo del codice penale, il 416 bis, definendo specifici provvedimenti di sequestro e confisca dei patrimoni mafiosi. Ma quando il 30 aprile di 35 anni fa Pio La Torre viene assassinato insieme a Rosario di Salvo, il progetto di legge non ha ancora trovato approvazione in Parlamento.
Oggi la legge che porta il suo nome – pur con gli adattamenti richiesti dalle mutazioni del sistema criminale e pur con i limiti e le difficoltà nel colpire il connubio tra mafie e crimine dei potenti – continua a essere punto di riferimento per l’attività della magistratura.
Ma le parole profetiche di Pio La Torre ritraggono ancora uno scenario immutato, che riconsegna irrisolti i misteri dello stragismo politico mafioso; uno scenario in cui dimenticanze, depistaggi, distorsioni investigative e giudiziarie costituiscono l’elemento unificante di importanti inchieste, rendendo difficile l’accertamento delle responsabilità; nel quale la ricerca dei legami tra mafie e poteri politico-eversivi fa ripiombare ogni volta in quel «buio totale» paventato da La Torre; lo stesso buio che circonda il depistaggio nelle indagini sulla strage di via D’Amelio, o quello intorno al fallito attentato all’Addaura contro Giovanni Falcone. Il buio che cela ancora i volti delle “presenze esterne” sui luoghi delle stragi, che impedisce di sapere cosa sta dietro le mancate catture dei latitanti o le mancate perquisizione dei loro covi. Una densa cortina oltre la quale c’è chi ancora oggi – rischiando in prima persona – continua a voler guardare, come guardava Pio La Torre, stanco di vedere l’Italia in grave affanno democratico, appesantita da troppi silenzi, col desiderio di metter finalmente fine al timore «di mettere le mani su qualcosa che non si sa dove vada a sfociare».
[1] ARS, Resoconti parlamentari, V legislatura, Seduta del 13.04.1964, p. 70, www.archiviopiolatorre.camera.it.
[2] P. La Torre, Luciano Leggio: latitante di Stato?, in «Quaderni Siciliani», n. 5-6, maggio-giugno 1974, pp. 32-36.
[3] P. La Torre, «Liggio? Un galantuomo e un fervente anticomunista», in «l’Unità», 18.05.1974.
[4] P. La Torre, Le ragioni di una vita, Bari, De Donato, 1982, p. 67; D. Mancuso, Pio La Torre. Una vita per la Sicilia, Tesi di Laurea – Scienze della Comunicazione Sociale e Istituzionale, Università di Palermo, 2008-2009.
[5] D. Rizzo, Pio La Torre. Una vita per la politica attraverso i documenti, Catanzaro, Rubbettino Editore, 2003.
[6] A. Dino, La mafia in aeroporto. Punta Raisi: cronaca di una speculazione annunciata, in «Historia Magistra», anno V, vol. 11, 2013, pp. 16-34, p. 18.
[7] Atti Parlamentari – 739, Camera dei Deputati – VI Legislatura, seduta di mercoledì 19.07.1972.
[8] P. Gentiloni, A. Spampinato, A. Spataro, Missili e Mafia, Roma, Editori Riuniti, 1985, p. 69.
[9] G. Fava, Un anno. Scritti per la rivista I Siciliani, Catania Mesogea, 2010, pp. 9-10.
[10] Ivi, p. 11.
[11] Cfr. «Il Diario», 7 gennaio 1980.
[12] Camera dei Deputati – VIII Legislatura, Seduta del 6 marzo 1980, Intervento di Pio La Torre, pp. 10902, 10903 (http://legislature.camera.it/_dati/leg08/lavori/stenografici/sed0122/sed0122.pdf).
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