Confisca per il prestanome di Messina Denaro
“Nel trapanese – come emerge ancora una volta da un provvedimento di confisca dei beni disposto dal Tribunale di Trapani – l’azione condotta da molti indagati per mafia non è stata solo finalizzata nell’azione di supporto alla latitanza del boss trapanese, ma anche per controllare un vero e proprio circuito imprenditoriale nel settore dell’edilizia e del relativo indotto, mediante la gestione e la spartizione di importanti commesse, nel settore delle energie alternative, eolico e fotovoltaico, nel settore della ricettività turistica”.
È così è potuto accadere che il gestore di un bar di Castelvetrano, come Giovanni Filardo, perché cugino del capo di Cosa nostra Matteo Messina Denaro, latitante dal 1993, è stato per anni il controllore, per conto del cugino latitante, di numerose imprese edili. E lo ha fatto collaborando con un altro super boss, il palermitano Filippo Guttadauro, cognato di Matteo Messina Denaro per averne sposato la sorella, Rosalia.
Filardo e Guttadauro assieme si sono occupati della “distribuzione di appalti e sub appalti“, garantendo poi che gli imprenditori favoriti riversassero nella cassaforte di Cosa nostra i guadagni, non solo il pizzo – 3 per cento dell’appalto – ma anche la quota di guadagno in nero. Soldi che sono serviti alla latitanza di Matteo Messina Denaro. Particolare che è stato svelato da una intercettazione. Gli investigatori hanno potuto così ascoltare la sorella del latitante, poco tempo dopo arrestata e oggi condannata, Patrizia Messina Denaro, soprannominata “a curta”, e una zia di questa, Rosa Santangelo, mamma del barista-imprenditore Giovanni Filardo, soprannominato, anche nei pizzini da e per il boss “il biondo“. Le due donne hanno definito talvolta iniqui gli utili d’impresa rispetto all’esigenza vera, fare arrivare soldi a Matteo Messina Denaro: “chiddru avi a camminare!…Vannè, chiddru vola!! E…senza soldi un po vulare!! Lo hai capito?“.
I giudici hanno individuato una serie di appalti controllati dalla mafia, la realizzazione di un polo tecnologico a Castelvetrano, imprenditore Luigi Spallino messo alle strette, a proposito di pizzo e acquisto di forniture, come il cemento, da un altro fidato del clan, Giovanni Risalvato, detto “Vanni Pruvulazzo“, altro soggetto finito intanto in carcere. Risalvato è stato intercettato anche lui, è stato ascoltato a dricordare come a Matteo Messina Denaro aveva messo a disposizione la sua persona per accompagnarlo nella latitanza, “lui mi ha fatto sapere che io per lui sono più importante stando qui (a Castelvetrano ndr)”. E in un pizzino diretto a Matteo Messina Denaro “Vanni Pruvulazzo” ha rassicurato il boss che lui e “il biondo” erano i suoi unici amici. Spallino ha testimoniato, e poi ha fatto le valigie dalla Sicilia. Costretto alla cosidetta messa a posto anche un altro imprenditore, il cugino di Messina Denaro, Lorenzo Cimarosa, oggi deceduto ma diventato prima di morire collaboratore di giustizia, si autodefinì il “bancomat” del clan Messina Denaro. Altro appalto che è stato controllato quello per la costruzione di un parco eolico, “Vento di Vino”, impresa Cedelt: il parco eolico è stato realizzato attraverso un sub appalto che ha favorito due imprese controllate dalla mafia castelvetranese la Bf costruzioni e la Mg costruzioni. Oggi Filardo, mentre è in carcere a scontare una condanna a 12 anni per mafia ed estorsioni, ha subito la confisca di beni. E durante la detenzione colloquiando con i suoi familiari è stato intercettato a dare indicazioni su riscossione di denaro e relativa collocazione.
Era, giustamente, preoccupato Filardo, “mi spavento del sequestro dei beni”. È arrivato il sequestro e adesso la confisca. Ricco il suo patrimonio, beni per oltre 3 milioni di euro, compresa una lussuosa villa sul litorale di Triscina, che per i giudici sarebbe stata usata anche per summit di Cosa nostra. La confisca, in queste ore, è stata eseguita dalla Dia di Trapani. Sono stati inutili perciò i tentativi di Filardo di distogliere dal proprio possesso beni e denaro. L’ordine che aveva impartito ai familiari era stato quello di togliere il suo nome da beni e conti correnti, “levate il mio nome, metteteci acqua minerale, ma non il mio nome”. Ma mentre dava ordini è stato ascoltato, intercettato e inchiodato alle proprie responsabilità. In carcere la preoccupazione di Giovanni Filardo è stata anche un’altra, cioè quella di fare arrivare i soldi direttamente ai Messina Denaro, “a Ciccio lu granne dovete darli“.
E Ciccio non era altro che Francesco Guttadauro, figlio di Filippo e Rosalia, il nipote prediletto del boss latitante. Ciccio Guttadauro è stato nel frattempo arrestato e condannato. Filardo lo ha indicato come “Ciccio lu granne” per distinguerlo da un altro Ciccio, il figlio di Patrizia Messina Denaro, a curta , un vero e proprio boss in gonnella, mafiosa quanto il fratello Matteo, e Vincenzo Panicola. I soldi per ordine di Filardo sono arrivati anche a Patrizia “a curta“, per lei l’ordine di Filardo dal carcere è stato quello di farle avere 1500 euro al mese. Quando Giovanni Filardo tornerà libero dovrà anche sottostare a quattro anni di sorveglianza speciale. Filardoè stato arrestato dalla Squadra Mobile di Trapani nel 2010 per estorsioni, incendi, interposizione fittizia di valori, fatti per i quali è stato condannato in appello, dopo una assoluzione in primo grado. La confisca dei beni è arrivata dopo una indagine coordinata dal procuratore aggiunto di Palermo Dino Petralia, il provvedimento è stato emesso dal Tribunale delle misure di prevenzione di Trapani presieduto dal giudice Piero Grillo, giudice estensore la dott. Chiara Badalucco.
A Filardo sono stati sottratti oltre alla villa a Triscina, una impresa edile, 23 automezzi e mezzi meccanici, un fabbricato rurale ed una palazzina residenziale, 7 appezzamenti di terreno, e 4 conti correnti bancari. Il provvedimento di confisca conferma la vocazione imprenditoriale di Cosa nostra trapanese, nonché la circostanza non meno importante che da decenni in questo territorio attraverso banche e imprese è stata nascosta la cassaforte mafiosa. Una strategia criminale ha consentito alla compagine mafiosa da un lato di accumulare e ripulire imponenti capitali e dall’altro di garantirsi un largo “consenso sociale”.
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