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L’illusione di arginare i flussi migratori dalla Libia

Piero Innocenti il . L'analisi

serraj-gentiloniLa riunione organizzata il 20 marzo scorso a Roma presso la Scuola Superiore della Polizia dal ministro dell’interno Marco Minniti con i colleghi di alcuni paesi africani- da cui originano i flussi migratori – e con il premier libico Fayez al Serraj, ha partorito la solita richiesta di forniture di mezzi per controllare soprattutto le coste libiche, che sono quelle da cui partono la stragrande maggioranza dei migranti diretti verso la nostra frontiera sud, che è anche quella esterna dell’UE. Si parla, dunque, di una spesa complessiva di circa 800milioni di euro (200milioni già stanziati dall’UE) in forniture di equipaggiamenti, tecnologie e mezzi da dare al governo di Tripoli nella illusione (di questo si tratta) di arginare –perché bloccare è impensabile- le partenze di centinaia di imbarcazioni gestite da organizzazioni e gruppi criminali che, da anni e anche con la complicità di bande miliziane locali e di segmenti delle forze di sicurezza, lucrano sul traffico di migranti.
Questa idea di contrastare le migrazioni via mare interloquendo con i leader di paesi come la Libia in una perdurante e grave situazione di instabilità politica, sociale e di insicurezza, perché si riprenda -non gratuitamente- i migranti partiti dalle loro coste, è davvero sconcertante. È stato sperimentato più volte in passato che queste forme di “assistenza/aiuto” servono a ben poco. Ricordiamo che, qualche anno fa, il nostro paese si era impegnato a versare alla ex colonia della Libia 5 miliardi di euro in cinque anni (468 milioni di euro furono versati in breve tempo) quale risarcimento per i danni subiti dal colonialismo, ma anche per aumentare i controlli sui migranti che, in realtà, non sono mai avvenuti. Senza contare che, dal 2003, in ragione di un accordo stipulato con il rais Gheddafi dall’allora ministro dell’Interno Giuliano Amato, iniziarono da parte italiana le consegne di decine di gommoni, fuoristrada, autobus Iveco e persino di mille sacchi per recuperare cadaveri.
Risalgono a quel periodo le ulteriori spese sostenute dall’Italia per i voli di rimpatrio dalla Libia di migliaia di stranieri verso i paesi di provenienza, in gran parte in guerra, da dove erano fuggiti in quanto oppositori o perseguitati. Facile immaginare quale sia stato il loro destino. Altri fiumi di denaro sono stati spesi in Libia (ma anche in Tunisia) per ripristinare condizioni sufficientemente accettabili nei centri di accoglienza (medioevali) di El Twesha, di Misurata e di altri ancora. Per non parlare della realizzazione di un sistema di gestione dati per l’anagrafe civile, per un sistema satellitare di controllo dei confini libici, per rimettere in efficienza motovedette e imbarcazioni varie date nel tempo.
Anche dopo la caduta di Gheddafi era ripresa la cooperazione con il nuovo Governo libico prevedendo, dopo l’incontro ministeriale a Roma del 3 aprile 2012, corsi di formazione del personale della polizia libica, la rimessa in efficienza, dopo gli eventi bellici di quel periodo, di una ventina di imbarcazioni cedute anni prima dalla Polizia di Stato italiana, di sei motovedette della Guardia di Finanza donate nel 2009 e la sostituzione di tre con altrettante nuove. Altre motovedette e pattugliatori sono previsti nell’accordo di alcuni giorni fa. L’obiettivo è sempre lo stesso: impedire la partenza dalle coste libiche per l’Italia e intervenire ai fini del soccorso in mare.
I numeri, tuttavia, parlano chiaramente e stanno ad indicare che, nonostante i vari dispositivi aeronavali  in mare di controllo e di vigilanza (italiani ed europei) continuano gli arrivi e nel 2017, alla data del 21 marzo, siamo già a 21.888 migranti (3.634 a bordo di navi militari, mercantili o di Ong, in fase di sbarco in alcuni porti italiani) di cui quasi 20mila partiti dalla Libia. Aumentano anche gli arresti (66 nel 2017) effettuati dalla nostra polizia dei cosiddetti scafisti (indagati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina) con la prevalenza di gambiani e la conferma di una loro presenza sempre rilevante (furono 155 nell’intero 2016 sul totale di 770 scafisti arrestati) come “manovalanza” delle organizzazioni dei trafficanti. Organizzazioni che non si fermeranno di certo anche se dovesse aumentare qualche attività di controllo nel tratto costiero della Libia sottoposto all’autorità di Serraj.

Migrazioni: alcune considerazioni sul d.l 2017/13

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