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Omicidio di identità: presentato il ddl

Donatella D'Acapito il . Istituzioni

puppato“Il volto distrutto e volutamente sfregiato per sempre ha il valore di una morte civile”. Laura Puppato, senatrice dem, lo dice senza mezzi termini mentre il 23 marzo presenta il disegno di legge che chiede l’istituzione del reato di omicidio di identità. Un ddl firmato dalle senatrici capigruppo e vice di tutti i gruppi parlamentari presenti a Palazzo Madama – la prima volta che avviene in questa legislatura – e dal Ministro della Pubblica Istruzione Valeria Fedeli.
Una iniziativa nata dalla richiesta di Carla Caiazzo, bruciata e sfigurata all’inizio del 2016 dall’ex compagno mentre era incinta di 8 mesi. Lo scorso novembre Carla aveva scritto al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, proprio per “sollecitare il nostro legislatore a individuare, sulla scorta di quanto sta tristemente accadendo, una nuova figura di reato che punisca severamente coloro che, nel loro intento delittuoso, colpiscono le donne e, soprattutto, le cancellano dalla società civile”.
Sì, perché non basta il reato di lesioni gravi o gravissime per crimini del genere. Perché quando ti succede una cosa del genere, devi fare i conti con un volto che non è più quello che eri abituata a vedere nello specchio ogni mattina. Fatichi a riconoscerti e devi imparare, giorno dopo giorno, a ri-conoscerti, cioè a conoscerti nuovamente. Senti sotto le dita una pelle dalla grana diversa, più sottile in alcuni tratti e ispessita, in altri, dalle cicatrici.
Lo sa Carla e lo sa Lucia Annibali, avvocato e consigliera del Ministero delle Pari Opportunità, sfigurata anche lei da chi diceva di amarla, che adesso incontra spesso gli studenti per raccontare la sua storia e sensibilizzare le ragazze e i ragazzi sull’argomento. Lo sanno molte – troppe – altre donne. Donne che si sono rialzate dalla loro condizione di vittime, alla quale gli aggressori le volevano condannare, e che hanno collaborato assieme ai loro avvocati, agli psicologi e ai criminologi alla stesura del ddl.
“Con questa proposta, che rappresenta un unicum in campo europeo, si colma un vuoto normativo. Lo sfregio del volto va a incidere profondamente sull’identità fisica, sociale e psicologica. Gli autori dell’omicidio di identità – spiega Puppato – oggi agiscono consapevoli di produrre il massimo del danno e andare incontro a pene minime rispetto a quanto causano. La nuova norma, punendo con la reclusione non inferiore a 12 anni fornisce ai magistrati gli strumenti per comminare pene adeguate in modo rapido”.
E proprio perché cancellare il volto di una persona rappresenta, come dice Puppato, la “volontà violenta di restare unici padroni dell’io profondo della vittima che si sarebbe voluta possedere”, avere una relazione affettiva con la vittima rappresenta un aggravante, così come accade per il femminicidio: “La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi dall’ascendente o dal discendente, dal coniuge, anche legalmente separato, dalla parte dell’unione civile o da persona legata alla persona offesa da relazione affettiva o con essa stabilmente convivente”. Ma l’introduzione nel codice penale degli articoli 577-bis, 577-ter e 577-quater in materia di omicidio d’identità prevede anche una tutela economica per le vittime e i figli, qualora ci siano: “Nei casi di condanna – continua la senatrice dem – si applicano quali pene accessorie l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno, la perdita del diritto agli alimenti e l’esclusione dalla successione della persona offesa, nonché la sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte”.
Ma agire ex post non basta: per questo il ddl prevede una parte dedicata alla prevenzione con l’istituzione sia di un osservatorio permanente per le azioni di monitoraggio, prevenzione e contrasto al fenomeno, sia con la realizzazione di percorsi di educazione alla legalità e all’integrità delle persone da proporre nelle scuole.
“Spero che questa legge veda la luce molto presto. Anche se non si può più applicare a me, spero che possa evitare tante vicende come la mia”, ha detto Carla Caiazzo con la voce tremante per l’emozione commentando la presentazione del ddl. “Da qui dico a tutte le donne di urlare che la violenza è sempre dannosa. Che è giusto condannare gli uomini e cercare di educarli a scuola, sin da piccoli, al rispetto degli altri. I bambini – ha concluso tra gli applausi – reagiscono a quello che vivono in casa e attraverso la loro formazione possiamo salvare qualche donna”.
Non è stato semplice per Carla accettare il suo nuovo viso. Non è stato facile affrontare gli innumerevoli interventi, che ancora non sono finiti. Ma lei non si è mai arresa. Adesso ha la sua piccola Giulia Pia; ha fondato una associazione che si chiama “Io rido ancora” per combattere la violenza sulle donne. Nel suo percorso Carla ha avuto anche la fortuna di trovare un giudice per l’udienza preliminare, Egle Pilla, che il 23 novembre scorso le ha reso giustizia condannando il suo ex, Paolo Pietropaolo, a 18 anni di reclusione, aumentando di tre anni la richiesta avanzata dal pm. Una condanna che, come si legge nelle motivazioni, nasce dall’attenta analisi del gup che ha riconosciuto nel tentativo di pentimento di Pietropaolo un “pentimento non autentico”.
Come a perpetrare l’atteggiamento di possesso che ha dimostrato nei confronti di Carla, il suo ex ha tentato di mettere la donna che diceva di amare al centro del suo dolore solo per ottenere uno sconto di pena, continuando poi a sfogare la sua rabbia: “Pietropaolo è stato sin dall’inizio preoccupato per le conseguenze che questo gesto avrebbe avuto sulla sua vita, preoccupato all’idea di dover trascorrere un lungo periodo di detenzione”, scrive il giudice Pilla, che poi continua: “è cosa ben diversa dal pentimento la condizione emotiva che emerge nelle dichiarazioni del Pietropaolo rese a questo Giudice nel corso dell’udienza del 27 ottobre 2016. Dopo aver qualificato il suo gesto come orrendo, Pietropaolo si concentra su se stesso, sul suo dolore, sulle sue difficoltà, su quello che ha sopportato non esitando ad utilizzare espressioni forti e violente nei confronti di Carla descrivendola una rosa piena di spine, una donna di spietata falsità, che lo ha solo utilizzato per ‘ripulire’ un cognome scomodo. Emerge ancora forte rabbia e attuale e vivo rancore nei confronti della donna e del compagno Ilario potendosi dunque escludere un autentica resipiscenza”.
Non è stato facile per Carla superare l’incubo in cui si è trovata il 2 febbraio del 2016. È stata una donna forte, una donna che ha potuto contare sul sostegno e sulla vicinanza dei familiari. Ma poteva provare la frustrazione di un sistema giudiziario che non riesce a garantire giustizia, e per fortuna non è andata così. Norme specifiche come il ddl appena presentato, forse, sarebbero in grado allora di tutelare molte più donne dalla follia di chi, non sopportando un rifiuto, pensa di poter uccidere una donna lasciandola in vita.

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