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Marcella e Marisa, l’abbraccio di Seriate

Olga Frescura il . Istituzioni, Lombardia, Mafie, Memoria

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Questi ultimi sono stati giorni intensi per la provincia di Bergamo che ha visto innanzitutto la nascita del primo presidio di Libera in Val Seriana. Un presidio costituito da giovanissimi, anzi sarebbe meglio dire giovanissime per la quasi totale assenza del genere maschile.

Le vittime a cui è stato intitolato sono Cristina Mazzotti, diciottenne del comasco ritrovata morta il primo settembre del 1975 dopo una crudele e insensata prigionia, e Alessandro Ferrari, vigile urbano originario di Gandino morto nella strage di via Palestro a Milano nell’estate del 1993.

Si è deciso di scegliere Alessandro per ricordare il suo impegno e il suo sacrificio, perché molto spesso se si è vittime senza un nome eccellente si viene ricordati in una categoria “agenti di scorta”, “vigili”, ma come ricorda Don Ciotti ”il primo diritto di un uomo è quello di essere chiamato per nome”.

Un’altra giornata importante è stata sabato 18 febbraio quando sono state consegnate le chiavi del bene confiscato a Seriate alla consulta studentesca ed è stata raccontata la storia di Marcella Di Levrano (a cui è intitolato il bene), una giovane donna uccisa prima dalla dipendenza dall’eroina e poi, quando aveva trovato il coraggio “di cambiare” per salvare la sua vita e quella di sua figlia Sara, dagli assassini della Sacra Corona Unita che Marcella stava denunciando all’autorità giudiziaria.

Nella mattinata si sono susseguiti diversi interventi il cui filo conduttore è stato il ruolo della cultura e di conseguenza della scuola nella crescita e nello sviluppo delle nuove generazioni che deve essere incisivo perché la conoscenza, la curiosità, la capacità di capire e distinguere sono strumenti potentissimi contro le mafie che ci vogliono ignoranti. L’importanza della scuola è racchiusa in una frase di Antonino Caponnetto “la mafia teme di più la scuola della giustizia, l’istruzione toglie l’erba sotto i piedi della cultura mafiosa”. In tutta la mattinata il momento  “forte” è stato l’ abbraccio tra Don Ciotti e Marisa, mamma di Marcella, la quale ha poi raccontato gli anni trascorsi con sua figlia caratterizzati da corse in ospedale, dolore e speranza.

Nelle parole emozionate di Marisa quello che si percepisce di più è la solitudine di quei momenti e il senso di abbandono provato sia per la mancanza di una famiglia che la sostenesse sia per la totale assenza dei rappresentanti dello Stato che, come lei stessa denuncia, “non ho mai sentito”. Marisa è una di quelle donne, e per fortuna ce ne sono tante, da prendere come esempio per la determinazione, l’audacia e la tenacia con cui conserva l’impegno e la memoria di sua figlia. Proprio le donne e in particolare le madri sono fondamentali perché trasmettono i primi insegnamenti ai loro figli e in questo senso sono artefici del cambiamento. Ci sono infatti donne che pur vivendo in contesti mafiosi e avendone assimilata la mentalità esprimono la volontà di poterne uscire pur non avendo nulla da raccontare all’ autorità giudiziaria e quindi mancando di requisiti per il programma di protezione.

Proprio sulla questione Libera sta collaborando con altre realtà per dare una diversa prospettiva di vita a queste persone. A proposito del “che fare” è intervenuto Don Ciotti ricordando che ci sono proposte di legge bloccate in parlamento da anni, la spesa italiana per l’infanzia al di sotto della percentuale europea e infine che si è avuta verità solo sulla strage di Piazza della Loggia e solo da poco, mentre ancora numerose sono le stragi su cui non è stata fatta luce.  Queste critiche, ma devono essere intese in senso propositivo, perché “è necessario saper riconoscere sempre il positivo, ma bisogna avere anche il coraggio di ammettere le fragilità” per poter migliorare.

Poi un richiamo a quelli che possono essere degli atteggiamenti che tendono non solo a mantenere lo status quo, ma addirittura a peggiorare l’attuale situazione. Primi fra tutti l’attitudine bergamasca – e in generale del Nord Italia – all’omertà: sono centinaia gli atti riconducibili ad attività mafiose di cui spesso i cittadini sono vittime ma ad oggi ancora nessuna denuncia. In secondo luogo “non basta commuoversi, ma muoversi”; non è più sufficiente infatti mostrarsi indignati occorre fare ognuno secondo le sue possibilità. Infine poi il muoversi non deve essere solo un comportamento di facciata, ma un valore in cui si crede e per il quale si lotta. Sul tema della memoria delle vittime delle mafie per esempio “i loro nomi devono essere scritti dentro di noi e non solo appiccicati per le strade, altrimenti è solo retorica”. Una volta che poi abbiamo interiorizzato i loro nomi dobbiamo fare nostre le loro storie e non dimenticare che dietro ognuno di loro ci sono i parenti che non possono essere lasciati soli.

Per me Libera rappresenta una risposta a tutto questo: Libera è sentirsi parte di un’unità, è stare insieme, condividere, esserci per portare avanti la memoria delle vittime e per aiutare e farsi aiutare dai parenti. Libera, così come la lotta alla legalità “che non deve diventare un idolo” è una sfida di civiltà. Libera è Marisa che abbracciandolo sembra aggrapparsi a Don Ciotti: ecco, Libera è per me quell’abbraccio.

La lettera del Sindaco di Mesagne al Sindaco di Seriate

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