Non ti scordar di me 2/ Indifferenza? No, grazie. Non siamo mafiosi
«Mio fratello, una macchia sul muro». Cosi Margherita Asta ricorda uno dei suoi fratelli rimasto ucciso nella “strage di Pizzolungo”. Il caso, solo il caso ha voluto che, quella mattina del 2 aprile 1985, alle 8:30, l’esplosione di un’autobomba uccidesse, a bordo di una Volkswagen Scirocco, Barbara Rizzo e i suoi bambini, Giuseppe e Salvatore Asta, madre e fratelli di Margherita.
L’autobomba era stata preparata dagli uomini di “Cosa nostra” per eliminare il sostituto procuratore Carlo Palermo, diretto al tribunale di Trapani. L’esplosione ha preso in pieno l’auto della famiglia Asta che ha fatto da scudo a quella del sostituto procuratore, rimasto ferito. Dei figli e della madre, non rimase niente, niente di niente, a parte quella “macchia” sul muro di una palazzina poco distante dalla tragedia. Una macchia che non è solo un brutto ricordo, ma anche il segno di un brutale e furioso assassinio. Tra i soccorritori, c’è il marito della donna, Nunzio Asta. Trova solo pochi resti. Non crede ai suoi occhi. Tra quei brandelli sparsi, non riesce a riconoscere nulla che gli appartenga. Ma una sua impiegata aveva già verificato: i suoi figli non erano stati a scuola quel giorno.
La tragedia della famiglia Asta è, purtroppo, solo uno dei tanti fatti di cronaca che portano la firma della mafia a danno di vittime oggi “invisibili”. Invisibili perché si dimentica facilmente che i mafiosi, figli del male e del terrore, hanno fatto di questa bellissima Isola, quale è la Sicilia, il loro teatro di guerra, il terreno dei loro “giochi”.
Da anni, si combattono le ingiustizie, la corruzione e l’omertà con “armi” pacifiche, e molto spesso sottovalutate, che cercano di diffondere cultura del rispetto delle regole, dell’onestà, della memoria. Non è pur vero che chi dimentica è complice?! Forse sì, forse no, ma rimane pur sempre un gesto ingiusto e immorale dimenticare tanto male e sofferenza. Giudici, come Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, grandi uomini, come Carlo Alberto Dalla Chiesa, grandi giornalisti, come Mauro Rostagno, e tanti altri “eroi”, hanno combattuto la mafia e hanno dato la loro vita per ciò in cui credevano.
Quelli citati sono solo alcuni dei tanti grandi uomini che, in difesa dei loro valori, hanno sacrificato gran parte della loro vita per sconfiggere questa brutale minaccia, alimentata anche dall’indifferenza e dal silenzio di chi ha paura di combattere e di chi ha, più semplicemente, paura. Un adolescente, in un suo tema, ha scritto della mafia: «Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di m**da! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente».
Il suo invito a lottare e ribellarci è anche una risposta alla domanda “La mafia si può sconfiggere?”.
Credo che la mafia non sia in grado di sopravvivere in contesti di amore, di pace, di onestà, di lealtà, di convivenza civile fondata sul rispetto degli altri. Allora, non sarà certamente impossibile non arrenderci e continuare a combattere. Combattere per Falcone, per Borsellino, per Dalla Chiesa, per i valori civili e umani, per non essere schiavi, per noi.
“Invisibile” è ciò che non si può vedere, non ciò che non vogliamo vedere. Ciò che non vogliamo vedere, si chiama paura, la paura di chi pensa che la mafia non si possa sconfiggere. Quella dannata paura conduce alla vittoria della mafia e non è possibile, non è possibile lasciare che siamo guidati dalla paura, dall’indifferenza. Basta rendere “l’invisibile” visibile. Solo cosi riusciremo ad avere fiducia, a mettere fine alle loro follie, prive di significato e scopo se non per i loro sporchi interessi. Solo sconfiggendo la paura, capiremo che la mafia è un “tumore” curabile da distruggere con il meglio di noi.
Antonino Di Stefano
Classe V G
Istituto Tecnico Tecnologico “G. B. Amico” di Trapani
Docente
Caterina Mangiaracina
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